Recensione “Sherlock Holmes” (2009)

Quella tra Guy Ritchie e Londra è l’equazione di un amore che si nutre della (sotto)cultura della città per descrivere lo straordinario fascino di un ambiente di antieroi contemporanei. La passione per la capitale inglese ha portato però il regista a misurarsi con qualcosa forse più grande di lui: l’alone di leggenda che circonda la Londra vittoriana e uno dei suoi personaggi più caratteristici, Sherlock Holmes, il geniale investigatore creato dalla penna di Arthur Conan Doyle. Se nei film precedenti Ritchie ha scatenato la sua creatività caratterizzando genialmente personaggi inediti e per questo imprevedibili, stavolta ha scelto di misurarsi con un qualcosa di già esistente, un personaggio difficilmente modellabile vista la sua evidente notorietà insita nell’immaginario collettivo di ogni cultura occidentale. Ed è qui che il film probabilmente fallisce: lo stile Ritchie è eccezionale se rapportato alla Londra contemporanea, quella città così brit-pop, fatta di piccoli e grandi criminali, così frenetica e cool; ma nella Londra di Sherlock Holmes la parola cool non dovrebbe neanche esistere. I personaggi di Arthur Conan Doyle sono così celebri, così ben inseriti nella cultura, che risultano difficilmente adattabili allo stile di Ritchie.

In una Londra in continua espansione, Sherlock Holmes e il suo fido assistente Watson contribuiscono alla cattura del peggior criminale presente in città, Lord Blackwood. La sua esecuzione però non basta: quando tutto sembra volgere alla tranquillità Blackwood sembra essere tornato per vendicarsi e per mandare nel caos Londra. Il suo piano è perfetto, magico e oscuro; le geniali intuizioni di Sherlock Holmes sono l’unica arma capace di fermare le intenzioni del suo acerrimo nemico, in uno scontro di intelligenza, intuito e azione.

Pugni rotanti, esplosioni, tuffi dai palazzi, boxe a mani nude (un richiamo a The Snatch?): anche chi non ha letto i racconti di Arthur Conan Doyle sa che tutto ciò è un po’ troppo per un personaggio calmo e logico come il buon vecchio Holmes, per cui l’arte della spada è sempre stata l’unica parentesi d’azione in un personaggio secondo cui la logica è la vera arma. Ma se ad ogni modo nel film è sottolineata l’importanza della logica (anzi, gran parte della risoluzione nel finale è affidata a questa), ogni particolare di contorno sembra anacronistico e fuori luogo, nonostante le smorfie del sornione Robert Downey Jr. e gli occhi vispi di Jude Law. Guy Ritchie ama così tanto Londra da trasformarla in un luna park senza tempo: portare il suo stile nel periodo vittoriano è stato un azzardo da non ripetere, ma i suoi personaggi sono così simpatici che in fondo gli si può perdonare anche questo.


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2 risposte a “Recensione “Sherlock Holmes” (2009)”

  1. Avatar Melina2811

    Ciao e buone feste da Maria

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  2. Avatar utente anonimo

    hehehe non voglio perdermelo per niente al mondo XD e Buon Natale!!!

    *Asgaroth

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