Woody Allen continua a macinare film, con risultati alterni: l’ultima volta ci aveva suggerito di goderci la nostra vita al motto di Basta Che Funzioni (tra l’altro uno dei suoi migliori film recenti). Ora il regista newyorkese lascia la sua città per tornare in quella Londra nella quale aveva girato tre film, sussurrandoci che il segreto della felicità è l’effimera illusione, l’irrazionalità. Allen non si discosta molto dal suo storico pessimismo nei confronti della vita, ma in questo caso lo fa con poche battute pungenti e, soprattutto, senza grandi idee.
L’attempato Alfie lascia sua moglie Helen illudendosi che una vita da “giovane” scapolo possa evitargli di affrontare la realtà. Helen sfugge alla depressione lasciandosi illudere dalle chiacchiere di una cartomante ciarlatana. Sua figlia Sally si illude che la cotta che prova per il suo capo possa essere ricambiata, mentre il marito di lei, Roy, si illude di poter diventare uno scrittore di successo. In questo balletto di danzatori infelici, solo chi metterà da parte la razionalità riuscirà ad essere veramente felice.
Come sottolinea una battuta di Sally: «Le illusioni funzionano meglio delle medicine». Ed è su questo concetto che verte l’intero film, la ricerca di una realizzazione, sentimentale e/o professionale, che si raggiungerà solo continuando a vivere nel proprio mondo, al di fuori delle mura grigie e insicure della razionalità, della realtà. Lo scontro tra queste due dimensioni, l’illusione e la realtà, crea i momenti migliori del film, perché se è vero che Helen incontrerà «uno sconosciuto alto e moro», come le viene predetto dalla cartomante, la risposta di Roy è Woody Allen al 100%: «Incontrerai lo stesso sconosciuto alto e moro che prima o poi incontriamo tutti», la morte.
Lascia un commento