Capitolo 304

Ieri avevo appena pubblicato questo post quando sono improvvisamente rimasto agghiacciato dalla notizia della scomparsa di Kim Ki Duk. Ho tolto subito questo capitolo che state leggendo e l’ho spostato ad oggi, per lasciar spazio ad un piccolo e doveroso omaggio. Era un regista che ho amato follemente, uno di quelli che meglio rappresentava il mio periodo universitario. I suoi film più celebri infatti uscirono in sala proprio negli anni in cui eravamo studenti affamati di cinema, cinefili assetati di emozioni e il lavoro di Kim Ki Duk era al centro di tante conversazioni, ci ispirava continuamente, è stato davvero uno dei simboli della nostra epoca al DAMS. Poi siamo cresciuti e ci siamo rovinati: c’è chi si è dato alla fotografia, chi al teatro, chi al vino, ma questo è un altro discorso. Ad ogni modo la scomparsa di Kim Ki Duk lascia un vuoto enorme nel Cinema, è stata davvero una notizia terribile.

Billy il Bugiardo (1963): Enorme successo in patria, Julie Christie lanciata nell’Olimpo e un posto fisso nell’immaginario collettivo dei britannici. Nel periodo d’oro della Nouvelle Vague francese, John Schlesinger (che pochi anni dopo vincerà l’Oscar per la regia di “Un uomo da marciapiede” e ancor più tardi girerà quel filmone che è “Il Maratoneta”), cerca di riprendere certe atmosfere viste in Truffaut e Godard e di raccontare la storia di una canaglia, Billy, che come da titolo è un incorreggibile bugiardo, si barcamena tra varie relazioni sentimentali e pure al lavoro dice più cazzate di un Trump qualunque pur di coprire le sue negligenze. Ogni tanto si lascia andare ad alcune fantasie, nelle quali viaggia e sguazza, che sono anche i momenti più divertenti di un film che vorrebbe avere la leggerezza e quel certo savoir faire dei francesi, ma che in realtà appare piuttosto ingenuo nel suo tentativo, a tratti un po’ forzato, di voler apparire migliore di quanto non sia. Julie Christie è incantevole, ma non lo scopriamo certamente oggi. Così così.

Mai Raramente A Volte Sempre (2020): I film che piacciono a me. Questo forse può anche dirvi poco, ma a me dice moltissimo. In una cittadina della Pennsylvania un’adolescente resta incinta e vuole assolutamente abortire. L’unico modo che ha per farlo senza il permesso dei genitori e senza incappare in una burocrazia asfissiante è prendere un treno con sua cugina e andare a New York. Premio speciale della giuria al Sundance e alla Berlinale di quest’anno, questo terzo film di Eliza Hittman è uno sguardo singolare sulla provincia americana (anche se la maggior parte del film si svolge a New York) e su cosa significhi essere adolescenti negli Stati Uniti di oggi, raccontandoci la fragilità, la vulnerabilità e al tempo stesso la straripante forza interiore di un’età che non smetterà mai di ispirare grandi storie per il cinema. Una scena su tutte: le mani delle due amiche che si sfiorano, nascoste da una colonna (non posso dire di più per non spoilerare). Mai strappalacrime, mai ricattatorio, mai finto: film bellissimo.

A Cena con gli Amici (1982): Il titolo italiano non ha assolutamente senso, visto che quello originale, “Diner”, non si riferisce ad una cena (dinner) ma al tipico bar/ristorante statunitense aperto 24 ore al giorno dove ci si reca per far colazione, pranzare, cenare o bere. Dopo questa premessa doverosa parliamo del film: splendido esordio da regista di Barry Levinson, in una storia semi-autobiografica che racconta le vite di cinque amici in quella delicata fase tra la fine dell’adolescenza e l’inizio dell’età adulta. Il film è ambientato nel 1959 e ruota attorno al diner del titolo, un po’ come faceva “American Graffiti” di Lucas (con cui il film di Levinson condivide anche lo stile della colonna sonora, oltre ad alcune canzoni) con il Mel’s Drive In. Il cast è notevole, c’è Mickey Rourke nella parte del Fonzie della situazione, c’è Steve Guttenberg (divenuto celebre due anni dopo nella parte di Carey Mahoney in “Scuola di Polizia”), c’è Kevin Bacon giovanissimo, c’è Daniel Stern (il ladro spilungone di “Mamma ho perso l’aereo” e il mitico Trepalle di “Leviathan”). A proposito di Stern c’è una scena stupenda in cui il suo personaggio litiga con la moglie, accusata di avergli incasinato la collezione di dischi (inserendo James Brown nella sezione Rock n Roll invece che in quella RnB) e in cui recita una sorta di monologo su quanto sia importante la musica: sembra una scena uscita dalla penna del Nick Hornby di “Alta Fedeltà”. Ad ogni modo il film è davvero molto bello, spontaneo, pieno di vivacità e di scene divertenti ma anche eccellente nel descrivere, senza mai scadere nel retorico, una fase di vita molto delicata.

Walk the Line (2005): Ci sono alcuni film che esulano dall’opera filmica per diventare un pezzo di storia della tua vita, credo che sappiate di cosa parlo. Questo capolavoro di James Mangold è stato un po’ il filo conduttore della mia vita per un buon lustro, in cui il nome di Johnny Cash era presente in ogni conversazione con il gruppo di amici di allora, sulle tesi di laurea, sulle magliette che indossavamo, nella musica che ascoltavamo in macchina, nei costumi di carnevale, sulle torte di compleanno, nei balli e nelle schitarrate con gli amici dell’Erasmus, un po’ in tutto quel che posso ricondurre alla mia vita tra il 2005 e il 2009. Si tratta di uno di quei film che quando vengono nominati mi sento immediatamente a casa mia, perché lo sento mio. Per un commento un po’ più razionale vi rimando alla recensione che ho scritto ai tempi nella rivista di cinema nella quale scrivevo. Ora scusate ma vado a prendere la chitarra, ché sento un bisogno impellente di suonare “Folsom Prison Blues”.

Wendy (2020): La storia di Peter Pan ormai l’abbiamo vista in tutte le salse e un po’ stava cominciando a sbomballarci. E invece che succede? Arriva quel genio di Benh Zeitlin e ti tira fuori una nuova versione che sembra uscita fuori da una canzone di Woody Guthrie. Dopo quel gioiello di “Re della Terra Selvaggia” (stupendo, recuperatelo!), Zeitlin ci regala una sorta di film di Malick per ragazzini, cupo, malinconico, in cui crescere sembra inevitabile, ma è anche rassicurante quando ci avverte che forse diventare grandi è l’avventura migliore che possa capitare. Non ne sono così sicuro. A parte ciò, il film è bellissimo.

The Gangster, The Cop, The Devil (2019): Non mi dire, un film coreano esteticamente bellissimo, ben realizzato, divertente, originale? Che sorpresa! Scoperto sul catalogo di RaiPlay (anche se non so ancora per quanto tempo ci resterà) dietro suggerimento di un amico, il film di Lee Won-tae è incentrato, come anche il meno sagace di voi potrebbe intuire dal titolo, su tre personaggi: un mafioso, un detective e un pazzo assassino. La svolta avviene quando il serial killer tenta di uccidere il gangster. Il poliziotto, suo acerrimo nemico, è costretto per forza di cose ad allearsi con il boss per dare la caccia al pazzo furioso che sta mietendo vittime in tutta Seul. L’incrocio tra questi caratteri così diversi a tratti lo fa sembrare un buddy movie, in realtà è un thriller molto ben costruito e splendidamente realizzato, che intrattiene, diverte e va giù spedito come uno shot di tequila (o qualunque cosa si bevano in Corea). Bello.

Mank (2020): Il film di cui parlano tutti. Un grande film, forse più grande che bello, complesso, cerebrale, affascinante e un sacco di altri aggettivi che dobbiamo a Fincher ogni qual volta facciamo il suo nome. Tecnicamente è ineccepibile, dalle interpretazioni alla fotografia, della regia poi neanche ne parliamo, e sono sempre più convinto che vederlo una seconda volta farebbe solo che bene. La storia, si sa, racconta la stesura della sceneggiatura di “Quarto Potere” da parte del futuro premio Oscar Herman J. Mankiewicz, detto Mank. Il film è quasi un pretesto per raccontare la golden age hollywoodiana con il suo carosello di personaggi, la sua avidità, la sua follia e la frustrazione di un uomo incapace di accettare il disagio di una lobby, di una società ristretta di individui meschini. Tantissimi pregi, pochi difetti (un po’ freddo di emozioni?), per uno di quei film che saranno ricordati per molti anni. Più per cinefili incalliti che per comuni mortali, ma è un grandissimo film.

Il Sale della Terra (2014): Da fotografo quale sono nella vita reale, ogni volta che vedo un documentario su un immenso fotografo come ad esempio Sebastiao Salgado, mi sento diviso tra ammirazione e frustrazione: da un lato sono pietrificato dalla bellezza e dalla potenza delle sue immagini, dall’altra mi distruggo nell’invidia e nella consapevolezza di non poter mai raggiungere vette così alte. Wim Wenders (altro bravissimo fotografo, oltre che regista sopraffino) racconta la storia di Salgado, dal clamoroso reportage nella Sierra Pelada in Brasile, al toccante racconto del genocidio in Rwanda, fino al suo progetto “Exodus” in cui va alla ricerca dei luoghi incontaminati del pianeta. Ne esce un racconto in cui emerge la sensibilità di Salgado nei confronti dell’umanità, dei cambiamenti climatici (ha letteralmente piantato una foresta, ora riserva naturale, intorno alla sua tenuta con centinaia di specie diverse laddove sorgeva solo terra bruciata), della vita. Un documentario che al di là del suo enorme valore cinematografico, racchiude tanti insegnamenti su cosa significa vivere oggi in questo pianeta. Non perdetevelo, è su Prime.

SERIE TV: Ho finalmente cominciato la seconda stagione di Mandalorian e devo ammettere che si tratta di intrattenimento di ottima fattura. Ho visto solo due episodi della nuova stagione e mi sembra che stia confermando tutto ciò che di buono avevamo visto nella prima. Il difetto, se di questo si può parlare, è che la trama orizzontale è davvero flebile: c’è una missione da compiere e da portare a termine nel giro di 8 episodi, ma potrei quasi tranquillamente vedere il quinto episodio prima del terzo e ciò influirebbe pochissimo sul piacere della fruizione generale. Ogni puntata è praticamente autoconclusiva e porta avanti davvero poco la narrazione: non so se si può parlare di difetto, ma preferisco sempre guardare qualcosa che mi possa coinvolgere come se fosse un lungo film. A parte ciò è abbastanza gagliardo. Visto che ve ne parlo già da mesi, cito il solito West Wing solo per aggiornarvi sulla visione: ho quasi finito la quinta stagione e me ne restano praticamente soltanto due: in realtà non mi sto chiudendo a vedere una puntata dopo l’altra, anzi, alcune volte è anche un po’ faticoso avere a che fare costantemente con questioni politiche e non sempre muoio dalla voglia di immergermi in quel mondo, ma è una delle serie che porterò sempre nel cuore, già lo so: è un capolavoro, su questo ci sono pochi dubbi.


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2 risposte a “Capitolo 304”

  1. Avatar Madame Verdurin

    Mank è stato sicuramente un evento, una splendida visione e ancora di più, un’occasione di confronto che mi è piaciuta davvero tanto. Walk the line è tra i film che desidero vedere da una vita, per caso è presente su qualche piattaforma che tu sappia?

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    1. Avatar AlessioT

      Walk the Line è su Prime Video, ma è un contenuto a pagamento, non è incluso nell’abbonamento (non so perché)

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