Winter is coming. Ma non così in fretta, anche se questo antipasto a base di pioggia torrenziale è un’ottima scusa per restare al caldo e all’asciutto per vedere e rivedere film. Riprendiamo le sani abitudini, che non fanno mai male. In questo capitolo quasi 6 film (vi spiegherò perché quasi) e il rewatch di una trilogia che porto nel cuore, nello stomaco, nella testa e in molte altre parti del corpo (no, quelle no). Spoilerone: ho finito Friends. Leggere per credere.
Ethan Hawke scrive e dirige un biopic tenero e amaro al tempo stesso, inzuppato di malinconia, confermandosi un autore sensibile e versatile: per questo motivo tutto ciò che tocca è oro, che siano i romanzi che ha scritto, i personaggi che ha interpretato, i film che ha diretto. Qui cambia totalmente genere e registro, raccontando la storia di Blaze Foley, cantautore country ucciso a 39 anni, grazie al quale Ben Dickey si è portato via dal Sundance il premio come miglior attore.
Quando si pensa a Nick Hornby la mente va automaticamente a libri come “Febbre a 90°”, “Alta Fedeltà” o “About a Boy”, tutte opere realizzate negli anni Novanta. Purtroppo quella che probabilmente è la sua migliore opera degli ultimi dieci (e forse quindici) anni non ha avuto la stessa fortuna dei romanzi già citati: sto parlando di “Tutta un’altra musica” (“Juliet, Naked” in originale), altro splendido racconto di amore e rock, che viene riproposto adesso in una pellicola di Jesse Peretz con la speranza di restituire al libro di Hornby il successo che merita.
Un film unico nel suo genere. Ma definirlo film potrebbe apparire addirittura riduttivo: “Before Sunrise” è un’esperienza capace di risvegliare sogni, di vendicare tutti i nostri rimpianti, di sottolineare le nostre debolezze, di riscoprirci innamorati di due perfetti sconosciuti. Avventura, viaggio, scoperta, amore, paura: meno di 24 ore per capire meglio se stessi e la nostra relazione con la vita. Il destino, se esiste, è qui. A portata di mano. È nello sguardo imbarazzato di Jesse mentre ascolta “Come here” di Kath Bloom in un negozio di dischi, è nel sorriso incantato di Celine quando si convince a scendere da quel treno. Basta poco, una piccola spintarella, e il nostro futuro è cambiato per sempre.
Un regista polacco che gira un film in Francia fa subito venire in mente Roman Polanski, non del tutto a torto, anche se in realtà il film di Pawel Pawlikowski si muove con uno stile tutto suo. Un intrigo della mente illuminato da atmosfere grigie e malinconiche che si prestano perfettamente come corrispettivo fisico e spaziale delle sensazioni interiori del tormentato protagonista. Una regia curata, precisa, che staglia i suoi personaggi su sfondi sfocati, avvolgendo la pellicola di sensazioni quasi oniriche, come se la Parigi raccontata dal film fosse un non-luogo, una città indefinita e indefinibile, all’interno della quale ci si muove senza direzioni precise. Ma una direzione precisa invece c’è: il “quinto” (arrondissement) del titolo, dove vive una donna misteriosa, fatale, fulcro narrativo e infine chiave di lettura del film.
Lo scrittore Tom Ricks, celebre per un unico romanzo scritto molti anni prima, si trasferisce a Parigi per riabbracciare la sua bambina, che vive lì con la madre. Un’ordinanza e l’astio della donna gli impediscono però di avvicinare la piccola. Tom, per evitare l’arrivo della polizia, sale su un autobus e finisce per addormentarsi: si ritroverà in periferia, derubato nel sonno di ogni cosa, e sarà costretto a sistemarsi in un motel di infimo ordine. Qui riesce a trovare un lavoro piuttosto misterioso, ed è sempre nel mistero che si incontra con una donna, vedova di uno scrittore ungherese, con la quale comincia una relazione in un appartamento lussuoso nel Quinto. Ma fino a dove arriva la realtà? E dove comincia l’infinito potere della mente, non più costipato in un corpo capace di controllarlo, ma sprigionato verso i labirinti più oscuri e indefiniti della verità?
Una coppia di straordinari interpreti: Kristin Scott Thomas non sorprende più, il suo talento ci ha già regalato una memorabile galleria di personaggi; Ethan Hawke invece si lancia perfettamente in un ruolo che non ha mai affrontato (anche se lo avevamo già visto a Parigi proprio in veste di scrittore nel bellissimo “Before Sunset” di Linklater), un personaggio triste, malinconico, incapace di controllare i demoni che aleggiano nella sua mente. E con un solo, unico, obiettivo: scrivere una lettera per la sua bambina, che giorno dopo giorno sembra quasi trasformarsi in un nuovo romanzo, dove, tra realtà e finzione, si riesce a cogliere un’indiscussa verità: l’amore di un padre per sua figlia.