
Christopher Nolan, in preda a deliri di onnipotenza, prova a mescolare a modo suo il meglio del cinema “spaziale” (da Kubrick a Tarkovsky, da De Palma a Cuaron), dosando gli ingredienti e continuando con coerenza il suo percorso nel cinema di “intrattenimento d’autore”. Quel che ne esce fuori è un polpettone fantascientifico di dimensioni epiche: visivamente accattivante, addirittura straordinario quando lavora con l’immaginazione e con le aspettative visive dello spettatore, drammaticamente flebile, distaccato e purtroppo poco coinvolgente in ciò che dovrebbe essere il punto forte della sua pellicola: il rapporto tra padre e figlia.
In un futuro imprecisato un drastico cambiamento climatico ha colpito gravemente l’agricoltura e l’atmosfera. Gli uomini stanno per subire le conseguenze di una piaga che lentamente sta togliendo loro il bene primario per la sopravvivenza: l’ossigeno. Un gruppo di scienziati, sfruttando un wormhole per superare le immense distanze di un viaggio interstellare, cercano di sfruttare nuove dimensioni per salvare la razza umana dall’estinzione.
Il cast stellare, in questo caso il termine è calzante, non basta a superare i limiti di un imponente spettacolo d’intrattenimento, che in quanto tale si basa su scene madri forzate e una sceneggiatura sempre attenta a creare continui e piuttosto innocui colpi di scena. Nolan è bravo, per carità, ma ha dalla sua un difetto imperdonabile: non sa emozionare, e quando prova a spingere forte sui sentimenti, invece di commuovere rasenta quasi il ridicolo. In quasi tre ore di film fanno a gara sbadigli e stupori: alla fine, purtroppo, vinceranno i primi.


Lascia un commento