
Primo capitolo autunnale del 2023, nonostante i film che troverete in lista siano in realtà i magnifici 8 con cui ho chiuso l’estate. E si tratta di un finale di stagione col botto, visto che ho guardato film recenti, film vecchi, film d’autore e anche un blockbuster anni 90. C’è un po’ di tutto dunque in questo nuovo capitolo, dove sto ultimando le ultime righe prima di scappare al cinema a guardare il primo film di questo autunno, che troverete sul prossimo articolo. Volete uno spoiler? Sto andando a vedere The Killer di David Fincher, presentato a Venezia qualche settimana fa e di passaggio a Roma prima dell’uscita su Netflix del prossimo novembre. Ne riparleremo.
Gli Oceani Sono i Veri Continenti (2023): Di alcuni film basta vedere il trailer e, sembra incredibile, vai subito in fissa: è esattamente ciò che mi è accaduto di fronte a quello del film d’esordio di Tommaso Santambrogio, che poi sono corso a vedere al cinema. Siamo a Cuba, in un bianco e nero che sembra uscito dall’occhio di un fotografo Fine Art: ci sono due ragazzini che sognano di diventare campioni di baseball, due amanti che si barcamenano tra la propria arte e l’eterno conflitto sul restare o partire e poi c’è un’anziana signora che ancora aspetta il ritorno del suo amato, partito soldato decenni prima mai ritornato. Un film poetico, in cui passato, presente e futuro di Cuba calzano perfettamente addosso ai personaggi, in un’altalena di nostalgia e malinconia, dove c’è talmente tanta umanità e tenerezza da farti venir voglia di saltare dentro lo schermo e di abbracciare tutti. Esordio clamoroso.
••••
Terminator 2 (1991): Nello scorso capitolo parlavo con entusiasmo di quanto fosse stato bello rivedere il primo Terminator a distanza di decenni. Sette anni dopo dal primo capitolo della saga, James Cameron torna sul luogo del crimine con un film più grande, più fico, più articolato. Forse è tutto un po’ troppo “più”, per questo l’equazione non torna e a me è sembrato “meno” rispetto al primo, che era più fresco, originale, lineare, con una sola, semplicissima idea, ma perfetta: impedire al cyborg di uccidere Sarah Connor. Qui c’è davvero tanta carne al fuoco (oltre a proteggere John Connor, bisogna far evadere Sarah dall’istituto psichiatrico e impedire agli ingegneri di sviluppare il chip che avrebbe poi dato origine a Skynet). Insomma, tanta roba, colonna sonora da urlo (i Guns quando erano veramente i Guns!) ed effetti speciali clamorosi, come succede sempre quando c’è di mezzo James Cameron. Un bel film, ma narrativamente siamo un gradino indietro al capitolo d’esordio.
•••
La Fattoria degli Animali (1954): Dopo aver riletto a distanza di anni il capolavoro di George Orwell, mi sono domandato come fosse possibile che nessuno avesse mai pensato di realizzare un film d’animazione basato sul romanzo. In realtà, lo avrei scoperto qualche giorno dopo, qualcuno ci aveva pensato, per l’esattezza i registi britannici John Halas e Joy Batchelor, che fecero per l’appunto una trasposizione animata di Animal Farm nel 1954. Dopo averlo visto ho capito perché fosse un film così poco conosciuto: è un lavoro grossolano, con personaggi piatti, in cui la metafora e la feroce satira del romanzo è pressoché inesistente, oltre all’aggiunta di un forzatissimo lieto fine. Anche l’animazione, benché fossimo negli anni 50, non è particolarmente esaltante. Insomma, se non si fosse capito, non mi è piaciuto proprio.
••
David Lynch: The Art Life (2016): Tra le tante cose che non conoscevo di un artista immenso come David Lynch, c’è sicuramente l’ambizione adolescenziale di dedicare la vita alle arti figurative. Il documentario di Jon Nguyen, Rick Barnes e Olivia Neergaard-Holm ci racconta tutto ciò che è stato David Lynch prima di diventare, beh, quel David Lynch. La passione per la pittura, il rapporto con il padre, con la scuola, con le città in cui ha vissuto. Finché, dopo essersi avvicinato quasi casualmente alla videoarte, non riceve una borsa di studio dall’American Film Institute, dal quale partirà poi la sua straordinaria carriera di regista. Un documentario molto classico, con il regista che racconta se stesso. Decisamente interessante per i fan di Lynch, niente di particolarmente irresistibile per uno spettatore casuale: lo trovate su Mubi.
•••
El Conde (2023): L’ultima opera di Pablo Larrain è la dimostrazione, se mai ce ne fosse ancora bisogno (sì!), che il regista cileno può davvero fare qualunque cosa gli passi per la testa (e la fa sempre bene). Stavolta Larrain torna a raccontare il suo Cile, trasformando il sanguinario dittatore Augusto Pinochet in un vampiro centenario, stanco di vivere in eterno e pronto a lasciare i suoi averi a figli pressoché terrorizzati dalla sua presenza. Sarà la mia nostalgia per un Paese dove ho trascorso un periodo importante della vita e che ho amato moltissimo, ma vedere la Bandera Bicentenario sventolare di fronte al palazzo della Moneda, nel bianco e nero di Larrain, mi ha provocato emozioni difficili da descrivere. Ad ogni modo, al di là del momento nostalgico, è un film dalla satira irresistibile e l’estetica sublime, in cui un pezzo di Storia del 900 è piegato e reinterpretato sotto i colpi del cinema d’autore. Geniale, lo trovate su Netflix.
•••½
Gioventù Bruciata (1955): Definita da molti come la “grande tragedia greca statunitense”, il filmone di Nicholas Ray lancia definitivamente James Dean nell’Olimpo iconografico del cinema, dal quale non uscirà mai più, anche a causa del terribile incidente in cui perderà la vita soltanto pochi mesi dopo. Nel film James Dean è un ragazzo complicato, che nonostante cerchi di tenersi lontano dai guai, si ritrova ben presto a dover fronteggiare una comitiva di bulli della sua scuola, frequentata anche dalla bella vicina di casa Natalie Wood. Ci sono talmente tante cose iconiche in questo film che la sua leggenda va oltre la bellezza della messa in scena, dalla giacca rossa del protagonista al mitico Osservatorio Griffith (l’edificio più celebre di Los Angeles, ripreso poi in moltissimi altri film, tra cui di recente La La Land), oltre ad aver dato voce ad un’intera generazione di adolescenti. “Vorrei che ci fosse un solo giorno in cui io non debba sentirmi così confuso e non debba provare la sensazione di vergognarmi di tutto”. Immortale.
••••
Il Conformista (1970): Due anni prima del successo di Ultimo Tango a Parigi, Bernardo Bertolucci gira, tra Roma e Parigi, un film a metà strada tra politica e ambiguità esistenziale. Siamo nel 1938: Trintignant, dopo aver subìto abusi sessuali da bambino, da adulto si avvicina ai servizi segreti fascisti che gli affidano il compito di andare a Parigi ad uccidere un suo vecchio insegnante di filosofia, noto dissidente. Candidato agli Oscar per la miglior sceneggiatura non originale (la storia è tratta dal romanzo omonimo di Alberto Moravia), si tratta di un film affascinante, illuminato dalle strepitose luci di Vittorio Storaro (che avrebbe vinto l’Oscar qualche anno dopo). Da recuperare.
•••½
Il Sapore della Ciliegia (1997): Che sorpresa. Conoscevo il film di Abbas Kiarostami in quanto vincitore della Palma d’Oro, ma ai tempi avevo neanche 16 anni e ancora non mi ero avvicinato al cinema d’autore iraniano, ahimè. Per fortuna però che, ora che ho passato i 40, c’è Mubi che mi aiuta a colmare le lacune. Nella storia troviamo un uomo costantemente dentro la sua auto, sembra in cerca di qualcosa, lo vediamo che si aggira per la periferia di Teheran e sembra un po’ agitato: in realtà ha intenzione di suicidarsi e cerca qualcuno che il mattino dopo venga a coprire il suo corpo nella fossa che si è già scavato. Nonostante il tema cupo è un film di grande umanità, che riesce a scaldarti come il sole che si adagia sulle brulle colline di Teheran. Splendido.
••••


Lascia un commento