GIORNO 7
Giornata piuttosto tranquilla quella di oggi alla Festa del Cinema di Roma. Due film, uno ambientato in Bhutan e un altro diviso tra Iran, New York e New Jersey: sarà l’ultima giornata più o meno rilassante all’Auditorium, visto che tra domani e dopodomani mi aspetta un bel tour de force. Vorrei raccontarvi cose mirabolanti, tipo quella volta in cui, mentre vedevo Tom Cruise firmare autografi a fan impazziti sul tappeto rosso, dall’altra parte camminava solo soletto Mario Monicelli, indisturbato, in mezzo alla gente comune (che forse neanche lo aveva riconosciuto, troppo presa da Cruise a pochi metri), ma non è questo il giorno. E credo che non lo sarà mai, almeno per quest’anno. Tutto ciò che posso raccontarvi è che sono arrivato all’Auditorium verso le 15.40, ho preso tranquillamente posto in Petrassi con largo anticipo e ho visto il primo film di oggi.
The Monk and The Gun di Pawo Choyning Dorji, prende spunto dalla storia vera accaduta nel 2006 in Bhutan, quando l’anziano Re decise di aprire per la prima volta le porte a democratiche elezioni per far sì che il popolo potesse eleggere il proprio futuro leader. Il problema è che nessuno in Bhutan ha mai avuto a che fare con le elezioni, per questo si decide di organizzare un’elezione di prova per far sì che tutti capiscano le modalità di voto. Nel frattempo, un saggio Lama chiede a un monaco di procurargli un’arma entro il giorno delle elezioni, la stessa arma sulla quale vorrebbe mettere le mani un americano, collezionista di armi antiche. In questa giostra di situazioni, il film si muove con dolcezza, belle immagini, storia, antropologia e, soprattutto nel finale, sane risate. Il primo film bhutanese della mia vita è stato davvero una piacevole sorpresa: fatecene vedere altri!

•••½
Finito il film bhutanese (mi chiedo quando scriverò nuovamente in vita mia l’aggettivo bhutanese), sono le 18 e ho tre ore di tempo prima del film della sera. Anche qui vorrei raccontarvi cose mirabolanti, tappeti rossi clamorosi e incontri straordinari, ma nella vita reale ho preso la macchina e sono andato a cena da mia madre, prima di tornare all’Auditorium. Sembra che durante il film del pomeriggio si sia abbattuta su Roma una bomba d’acqua, visto che noto pozzanghere grosse come laghi e qualche strada semi-allagata. In questa città non ci si annoia davvero mai. Ad ogni modo torno all’Auditorium verso le 20.30 e me ne sto nei pressi del Red Carpet a contemplare la folla (c’è anche Vittorio Sgarbi, ma non farò commenti per evitare denunce). Provo un po’ di malinconia, tra i segni della pioggia del pomeriggio, le luci sul tappeto rosso e la fatica per le ormai poche ore di sonno di questi ultimi giorni. Sono stanco, capo, direbbe il caro John Coffey e sento mie le sue celebri parole. Salgo nella galleria della Petrassi con un po’ di anticipo, “meglio sedersi a pensare all’interno di una sala cinematografica che in mezzo a una folla di sconosciuti”, penso. Alle 21 comincia The Persian Version di Maryam Keshavarz, vincitore del premio del pubblico all’ultimo Sundance Festival e sin dalle prime scene mi sento sollevato: nonostante la stanchezza, l’attesa e il ritorno a casa a mezzanotte, lo sforzo non sarà vano. Questo perché il film è brillante, divertente, a tratti davvero irresistibile: è ciò che uscirebbe fuori se Marjane Satrapi e Fleabag decidessero di fare un figlio. A dirla tutta nella parte centrale c’è probabilmente qualche lungaggine di troppo, ma nel finale il racconto torna ad essere esilarante, merito soprattutto della sua splendida protagonista Layla Mohammadi, che mi fa pensare che dovrei smetterla di innamorarmi continuamente di ragazze viste nei film: “Sono solo personaggi, Alè, eddaje su!”, direbbe il mio armadillo di fiducia, se solo ne avessi uno. La storia (quasi vera, decisamente autobiografica), racconta le vicende di una famiglia iraniana impiantata a New York, soprattutto attraverso gli occhi della giovane Laila, gay, regista cinematografica, nata negli Stati Uniti e in costante conflitto con una madre conservatrice e rigida, fuggita dall’Iran prima della rivoluzione a causa di un segreto inconfessabile. Succedono talmente tante cose, tutte credibili, che vorresti vederlo continuare ancora per un po’, anche dopo i titoli di coda: Persian girls just wanna have fun!

•••½
Sui titoli di coda abbandono la sala e me ne torno a casa con un sorriso ebete stampato sul volto, la bellezza della notte intorno e un Lungotevere deserto davanti a me. Domani ci sono tre film e, soprattutto, un temibile viaggio in metropolitana. Ma domani, per l’appunto, è un altro giorno.


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