Recensione “Dune – Parte Due” (2024)

timothee chalamet e zendaya in una foto di scena di dune parte due

Tre anni fa avevamo lasciato Arrakis con la famiglia Atreides quasi del tutto sterminata dagli Harkonnen. Nella prima parte di Dune, Villeneuve aveva avuto giusto il tempo di piazzare le carte sul tavolo e un po’ di carne al fuoco da cuocere in questa seconda parte: dopo la morte del duca Leto Atreides e con gli Harkonnen nuovamente al potere del pianeta, Paul Atreides e sua madre fuggono nel deserto, dove trovano aiuto presso la tribù autoctona dei Fremen. Qui Paul tramerà vendetta e organizzerà la guerra contro il barone Harkonnen e l’Imperatore, in combutta tra loro per distruggere casa Atreides.

Citando le parole dello stesso Villeneuve, se il primo era un film molto più contemplativo, questo Dune – Parte Due è un film di guerra epico, infarcito di azione, di personaggi affascinanti e impressionati scene di impatto. Un’opera maestosa, firmata da un grande autore, accompagnata da una colonna sonora eccezionale (Hans Zimmer bisserà l’Oscar vinto con il primo film?), che tuttavia fatica a mantenere intatta la sua epicità il giorno successivo alla visione, almeno per chi scrive.

Al di là dei miei gusti personali, il film di Villeneuve è un perfetto prodotto d’intrattenimento, in cui spicca senza alcun dubbio la caratterizzazione dei Fremen, soprattutto se si intende l’opera letteraria di Frank Herbert (e, per estensione, la saga cinematografica) come un’allegoria delle tensioni in Medio Oriente e in particolare del conflitto tra Israele e Palestina. Non a caso i Fremen sono un popolo autoctono che vede il proprio pianeta controllato da un altro popolo (gli Harkonnen), insediatosi per motivi politici e commerciali. I guerrieri Fremen sono denominati Fedaykin, evidente riferimento ai Fedayn, ovvero i combattenti dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. L’ambientazione desertica e il particolare linguaggio poi, che ha molti riferimenti all’arabo, non fanno che aumentare il processo di identificazione tra Fremen e palestinesi. Se nel primo film il discorso sull’imperialismo e la colonizzazione di Arrakis è soltanto accennato (occasione persa), questa Parte Due, nonostante l’assenza di approfondimenti verbali sulla questione di cui sopra, palesa il suo punto di vista tramite la reazione di un popolo oppresso nei confronti di un aguzzino (Vladimir Harkonnen). Ecco, se visto in chiave politica, il film di Villeneuve assume un tono molto più significativo rispetto al mero intrattenimento.

In attesa della terza parte di Dune, annunciata da Villeneuve lo scorso dicembre, questo secondo film lavora sicuramente meglio del primo: c’è più vita, più epicità, più azione, più gloria e, al netto di qualche lungaggine di troppo (2 ore e 40 sono sempre e comunque troppe, a meno che non ti chiami Scorsese), è un film che sa pienamente offrire la visione di un grande regista allo spettatore disposto a entrare in questo mondo di sabbia e vermi giganti: chi vorrà, godrà (e avrà tutta la mia invidia).


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