
Festa del Cinema di Roma 2024 – Giorno 3: Di ritorno a casa dopo un’altra giornata trascorsa tra film, corse in sala e mezzi pubblici. Sono talmente stanco e assonnato che ho come l’impressione di trovarmi al ventesimo giorno di Festa del Cinema, quando in realtà ne sono passate appena tre. Ma alla fine è una vita (da cinefilo) che in qualche modo mi sono scelto, quindi qual è il senso di lamentarsi? Ad ogni modo alle 7.40 esco di casa sotto un cielo che minaccia pioggia. Saluto il barista sotto casa, evidentemente sorpreso nel vedermi in giro così presto, e mi dirigo verso la fermata della metropolitana. Alle 8 riesco a prenotare tutto ciò che volevo seguire domenica, quindi fino a qui tutto bene. Dopo due metro e un bus, arrivo in Auditorium in perfetto orario, pronto per l’opera seconda di Viggo Mortensen, The Dead Don’t Hurt. Il film si apre con un cavaliere medievale a cavallo e dentro di me penso: “Dai, che bello, un film ambientato nel Medioevo, ne avevo proprio voglia”. In realtà quell’immagine era solo la fantasia di un personaggio, visto che si tratta di un western di buonissima fattura. Il genere è senza dubbio un pretesto per mettere in scena la storia di una donna meravigliosa, interpretata dalla bravissima attrice lussemburghese Vicky Krieps (che abbiamo già visto ne Il Filo Nascosto o in Old), uno dei migliori personaggi femminili visti negli ultimi tempi. La storia salta da un piano temporale all’altro, in cui vediamo la protagonista femminile sia da bambina, quando perde il padre nella guerra contro gli inglesi, sia da adulta, quando si sistema in una fattoria con il suo uomo, Viggo Mortensen. Sceneggiatore, regista, interprete e musicista, Mortensen ha un’idea molto poetica del film western, almeno finché il genere non gli impone le sue regole, con gli inevitabili conflitti e le rese dei conti. Forse un po’ anacronistico ma senza dubbio un bel film.
Finito il film, ho giusto il tempo per bermi un caffè al bar dell’Auditorium prima di fiondarmi al Teatro Studio per il secondo e ultimo film della mia giornata: Jazzy di Morrisa Maltz, un indie movie prodotto dai mitici fratelli Duplass, oltre che da Lily Gladstone. Tra infanzia e adolescenza, due amiche, inseparabili come lo si può essere solo a quell’età, approfondiscono il sentimento della perdita quando una delle due è costretta a trasferirsi lontano. Un film di formazione, di crescita, ma anche il racconto di un’amicizia pieno di vibrazioni genuine e di tenerezza, con battute come “Non uscirei mai con qualcuno a cui non piace il gelato al cioccolato” o “Mi ha chiesto di uscire ma l’ho respinto perché non voglio perderlo come amico”. La trovata più bella è che gli adulti, escludendo il finale, sono sempre e solo voci fuori campo, non si vedono quasi mai e quando accade sono perlopiù personaggi sfocati, com’è giusto che sia. Molto dolce, con due protagoniste adorabili.

A pranzo mi concedo una pizza, dopodiché mi siedo in conferenza stampa per ascoltare Viggo Mortensen tentare di parlare del suo film, almeno finché non gli viene chiesto se Aragorn è un personaggio iconico per lui quanto lo è per il pubblico e se ha visto la serie Gli Anelli del Potere (e sti cazzi???): qui l’attore/regista dà i primi segni di insofferenza, fino a rispondere, non poco infastidito, che non ha visto la serie. La situazione si riprende quando finalmente Viggo ha la possibilità di parlare della sua protagonista, finché poi il discorso non verte sulla politica e sulle imminenti Elezioni Presidenziali USA. Quando il tempo a disposizione finisce, la folla di ragazzini assatanati non aspetta neanche il canonico applauso, lanciandosi verso il palco con poster e cellulari accesi, facendo rimbombare i propri passi sul parquet della Petrassi come una mandria di bufali in un rodeo. Viggo Mortensen, nuovamente stizzito da un atteggiamento così superficiale (è venuto a presentare una sua creatura e i bambini che giocano a fare i giornalisti non gli hanno dato neanche la possibilità di farsi applaudire), se ne va senza firmare neanche un autografo, lui che normalmente è super disponibile (è la quarta volta che viene alla Festa del Cinema e si è sempre dimostrato una persona squisita). “La nostra generazione era più educata”, dice qualcuno vicino a me, a ragione.
Più tardi in conferenza c’è il grande attore francese Vincent Lindon, a Roma per presentare La Choix, remake dello splendido Locke con Tom Hardy e, dopo di lui, è la volta della serie Avetrana, con Pippo Mezzapesa e il cast della serie sull’omicidio di Sarah Scazzi. Il produttore è Matteo Rovere e alla fine lo avvicino per salutarlo, perché è stato mio compagno di asilo dalle suore della Balduina, anche se lui ovviamente non ha la mia stessa memoria: è stato comunque molto divertente scambiarci due parole a distanza di quasi 40 anni.

L’ultimo evento della mia giornata è l’incontro con lo scrittore Dennis Lehane, autore di alcuni bellissimi romanzi che sono poi diventati splendidi film, come Mystic River, Gone Baby Gone o Shutter Island. Lo scrittore del Massachusetts ha raccontato alcuni aneddoti legati alla trasposizione dei suoi romanzi: “Ho amato ogni singolo momento di Shutter Island, tranne quando è stata inserita quella battuta nel finale, che nel mio libro non c’è”. Il riferimento è alla memorabile battuta che fa DiCaprio, quando afferma “Cosa sarebbe peggio? Vivere da mostro o morire da uomo per bene?”. In apertura Lehane ha anche rivelato il suo film preferito, ovvero Il Braccio Violento della Legge di William Friedkin, che secondo lui non è un film sulla criminalità ma una versione moderna di Moby Dick.
Domani, oltre a due film in mattinata, ci sono Juliette Binoche, Ralph Fiennes e Jeremy Irons in conferenza stampa, oltre alla masterclass di Viggo Mortensen per la quale sono ancora in forse: aspetto un semaforo verde dall’ufficio stampa per potervi partecipare. La cosa buona è che stasera riuscirò ad andare a dormire a un orario decente, forse, è che domani non camminerò per l’Auditorium come se fossi il personaggio di un film di George Romero.


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