
Per anni ho lavorato in una pizzeria, occupandomi un po’ di tutto: davo una mano in cucina con i fritti, servivo i clienti, rispondevo al telefono, facevo consegne, gestivo i rider, tiravo fuori le pizze dal forno. Condividevo le ore di lavoro con ragazzi del Bangladesh, con studenti fuorisede abruzzesi, ragazzi di borgata. E come quel Sammy cantato dai Queen, tutti sognavamo di spread our wings, nonostante la stanchezza, il forno a 300 gradi ad agosto o la frustrazione di sapere gli amici a cena insieme mentre tu consegnavi pizze con la pioggia battente. Questa premessa serve a comprendere un po’ meglio forse la grandezza di un piccolo film come questo, leggermente penalizzato da un infelice titolo italiano che fa pensare troppo a una commedia, quando invece il film di Alonso Ruizpalacios è molto di più.
Dopo il successo di The Bear, tutto ciò che si svolge dentro una cucina deve caricarsi sulle spalle vari esami del dna per definire il grado di parentela con la serie. Ciò che vediamo in La Cocina (titolo originale del film) ha però delle vibrazioni tutte sue, che raccontano molto del mondo che viviamo oggi. La storia si svolge interamente all’interno di un ristorante a Times Square, dove cuochi, assistenti, cameriere e lavoratori da ogni parte del mondo godono dei rari momenti di pausa per fare i conti con le proprie esistenze. Tra i tanti, c’è un cuoco messicano che sogna la green card e al tempo stesso di costruire una famiglia con la bella cameriera Julie (Rooney Mara, migliore in campo). Il tempo però stringe, è venerdì e il caos di mille ordinazioni sta per piombare ancora una volta dentro questa cucina multietnica.
Come ripeto spesso, se c’è una cosa che apprezzo molto in un film è la capacità di raccontare il suo tempo alle generazioni future. In quest’ottica, un film in cui individui di culture diverse si districano tra i muri dell’incomprensione, mentre il macigno del capitalismo tenta di sacrificare ogni individualità, ogni sogno, ogni speranza sull’altare del profitto e del consumo, racconta piuttosto bene cosa significa vivere negli Stati Uniti oggi, soprattutto se non sei un ricco uomo bianco. A condire tutte queste vicende c’è tanto umorismo caustico e una regia piena di belle intuizioni, tra cui un piano sequenza da urlo: quanta fame (di vita!) in un film così piccolo. Andatelo a vedere.


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