La guerra secondo Kubrick (parte 3 di 8)

FEAR AND DESIRE: L’UOMO CONTRO SE STESSO
Nel 1953, Stanley Kubrick gira il suo primo lungometraggio, Fear and desire. Nonostante lo stesso regista lo abbia definito in un’intervista del 1962 «a pretentious, inept and boring film, a youthful mistake costing about 50,000 dollars» («un film pretenzioso, inetto e noioso, un errore di gioventù costato circa 50.000 dollari») e in altra sede «un maldestro esercizio di cinema amatoriale», Fear and desire è senza dubbio un’opera prima complessa e molto matura per l’allora ventiquattrenne Kubrick, sia per la ricerca tecnica che per i contenuti.

Il film è un racconto allegorico ambientato durante una guerra indefinita; narra le vicende di quattro soldati che, dopo esser sopravvissuti ad un incidente aereo, riescono a trovare rifugio in una foresta situata in territorio nemico. I quattro cercano di costruire una zattera per risalire il fiume e tornare nel proprio territorio, ma si imbattono in una donna, subito uccisa dal soldato Sidney, che aveva precedentemente cercato di violentarla. Dopo l’omicidio, Sidney, come impazzito, fugge nella foresta mentre Corby, l’ufficiale in carica, e il soldato Fletcher, si imbattono in un generale nemico e i suoi soldati: i due uccidono i nemici, ma si accorgono che questi hanno le loro stesse sembianze. Intanto il quarto soldato, Mac, prova a discendere da solo il fiume in zattera, ma viene ferito e si ritrova in preda al delirio. Corby e Fletcher fuggono in aereo, per poi attendere a valle l’arrivo della zattera: su di essa ci sono Mac, privo di coscienza, e Sidney, che, impazzito, canta nenie insensate.
In questo suo primo film, Kubrick tratta il tema della guerra con l’intenzione di sottolineare «l’assoluta inutilità della violenza e lo stretto rapporto tra violenza e follia», per mezzo di una storia che vuole raccontare in modo universale l’assurdità della guerra; un’interpretazione in un certo senso suggerita dalla voce fuori campo che introduce il film: «C’è la guerra in questa foresta. Non una guerra che sia stata combattuta o una che lo sarà, ma una qualsiasi guerra e i nemici che lottano qui non esistono finché non li chiamiamo a esistere. Questa foresta, allora e tutto quello che adesso vi accade, è al di fuori della Storia, solo le immutabili forme della paura, del dubbio e della morte provengono dal nostro mondo. Questi soldati che voi vedete parlano la nostra lingua e vivono il nostro tempo, ma non hanno altro paese che la mente».
In Fear and desire, Kubrick introduce a chiare lettere uno dei temi principali della sua filmografia, quello dell’uomo contro se stesso, e lo fa attraverso una scena che, se il regista non avesse fatto sparire tutte le copie esistenti del film, sarebbe entrata senz’altro nell’immaginario collettivo della società attuale: quella in cui i protagonisti uccidono i soldati nemici, scoprendo poi che essi hanno i loro stessi volti. Il tema del doppio in qualche modo richiama quello degli scacchi, altro motivo ricorrente del cinema di Kubrick; la scena appena descritta incarna l’essenza stessa degli scacchi: un gioco di guerra dove si concentrano la paura di perdere (fear) e il desiderio di vincere (desire), e in cui ciascun pezzo ha il suo doppio nel campo avversario. La battaglia simulata dal gioco non è soltanto una guerra tra eserciti contrapposti ma si può interpretare anche come la metafora dell’incessante lotta tra la vita e la morte, quella come già detto dell’uomo contro se stesso, ma anche tra il conscio e l’inconscio, la cui disputa mina l’integrità dell’individuo con la minaccia della follia.

Il tema dell’uomo che uccide se stesso torna ad esempio in Orizzonti di gloria, dove i soldati francesi vengono giustiziati dal loro stesso esercito, oppure in 2001 Odissea nello spazio, dove gli uomini-scimmia, appena “scoperta” la violenza, si scagliano contro un loro simile, copia identica di loro stessi. Nel suo doppio l’uomo trova «la proiezione delle proprie paure e della propria ferocia»,  ma al di là di questo l’interesse del regista è anche quello di mostrare il modo in cui la mente dell’uomo, sotto la pressione della guerra, si trasformi in uno strumento di morte: «la violenza, l’ira, il desiderio di vendetta penetrano sempre più nei combattimenti dopo che il conflitto divampa e inasprisce: è esso stesso a scatenare quegli impulsi che lo guidano e lo stimolano. Così è la guerra a produrre il combattente, il conflitto a creare il nemico». In Fear and desire l’impulso violento dei soldati è sottolineato nella gratuita ferocia con la quale si scagliano contro i nemici indifesi (essi vengono colti di sorpresa mentre sono intenti a mangiare e bere) e nel tentativo di stupro da parte di Sidney nei confronti della ragazza («vittima d’un sacrificio decretato dalla repressione degli istinti erotici durante la guerra, completamente votata alla sete di morte»); allo stesso tempo l’instabilità e il senso di smarrimento interiore dei soldati è accentuato dall’ambientazione del film, la foresta, uno spazio ampio dalla struttura però incerta, labirintica (come nelle trincee di Orizzonti di gloria e nei corridoi dell’Overlook Hotel di Shining), dove i quattro si trovano a vagare e che rappresenta quindi un «corrispettivo fisico e spaziale di una situazione interiore»; un senso di smarrimento caratterizzato anche dai dialoghi, nei quali uno dei protagonisti afferma: «voglio restare vivo, ma sono sicuro di non sapere perché». Smarrimento esistenziale, quindi, ma anche uno smarrimento nella follia e nel delirio, come quello in cui si ritrovano a vagare i soldati Mac e Sidney nella parte finale del film; l’uno privo di coscienza dopo il vaneggiamento, l’altro regredito allo stato infantile in cui la follia l’ha condotto e che lo porta a cantare nenie prive di significato (non si può non citare in tal senso la scena di 2001 Odissea nello spazio in cui il computer Hal 9000, mentre viene disinserito, canta una filastrocca per bambini, o il finale di Full Metal Jacket, in cui i soldati marciano nell’ombra intonando il ritornello di Mickey Mouse). Fear and desire quindi si può interpretare come una metafora della condizione umana, secondo il regista caratterizzata da smarrimento, solitudine e persistente quanto indefinibile minaccia.
L’uso della musica, infine, componente mai casuale nel cinema di Kubrick, consente di aggiungere un’altra interpretazione a Fear and desire: «si tratta d’una solenne meditazione sulla guerra, che nasce sottovoce, come un canto desolato mormorato da un oboe, e dopo un inciso lacerante e rabbioso sfocia in una perorazione rassegnata che si smorza lentamente».

Questo film d’esordio come abbiamo visto, rappresenta una sorta di “big bang” dell’opera kubrickiana; un coacervo dei temi e delle ossessioni che caratterizzeranno il cinema del regista newyorkese negli anni a venire: l’ambiguo rapporto tra paura che si nutre di desiderio e desiderio che si nutre di paura, la razionalità che si riversa nella follia, l’impulso della violenza come legame estremo tra amore e morte, i topoi della scacchiera e del labirinto.

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2 commenti Aggiungi il tuo

  1. utente anonimo ha detto:

    Un bellissimo discorso ma secondo me bisognava specificare di più la follia dell’uomo.

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  2. Lessio ha detto:

    sì, è vero, in realtà ho preferito usare questo primo film per accennare alcuni temi che ho affrontato più accuratamente nei capitoli seguenti.

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