Recensione “La guerra dei mondi” (“War of the worlds”, 2005)

Tra il cinema e La guerra dei mondi sembra esserci un affascinante filo conduttore: il cinematografo, come tutti sanno, nasce nel 1898 ad opera dei fratelli Lumiere; nello stesso anno Herbert George Wells mette nero su bianco creando uno dei suoi romanzi più celebri, “La guerra dei mondi” appunto, dove per la prima volta l’uomo conosce la minaccia aliena. Nel 1938, Orson Welles, colui che negli anni a seguire ha realizzato cinema allo stato puro, attraverso una trasmissione radiofonica nota come La guerra dei mondi terrorizzò l’America di quel periodo, annunciando l’invasione aliena: fu il panico. Si passa per la seconda guerra mondiale, ed eccoci in piena guerra fredda: 1953, Byron Haskin dirige la prima versione cinematografica del romanzo di Wells, il pianeta rosso agli occhi degli americani diviene una palese metafora della minaccia comunista, e facilmente si immaginarono i rossi marziani provenire dall’altra parte della Cortina di Ferro. Più di mezzo secolo dopo Steven Spielberg, uno che negli anni ’70 ha permesso al cinema americano di rivivere la sua “golden age”, realizza la “sua” guerra dei mondi. E dimenticatevi lo Spielberg del tenero “E.T.”, dei pacifici “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, o quello favolistico di “A.I.”, qui il regista americano ci mostra l’altra faccia della medaglia: un’invasione aliena in piena regola, attraverso la quale si vuole raccontare la famiglia americana, in chiave moderna però: il protagonista del film non è un esperto astronomo, come nella pellicola del 1953, ma un uomo-medio che incarna i valori della working class, un uomo separato dalla moglie, che si relaziona a singhiozzo con i figli. L’occhio di Spielberg è tutto per la famiglia, la famiglia americana in questo caso, e nella morale andiamo a ritrovare tutto il buonismo del regista: una famiglia unita può superare tutte le difficoltà. Una chiave di lettura che potrebbe distogliere il pubblico dalla messa in scena, imponente e coinvolgente, frutto di un lavoro fatto di meravigliose realizzazioni in digitale misto ad un grande sforzo scenografico; impossibile, per esempio, che l’occhio non si lasci catturare dalla carcassa di un enorme aereo, nella scena in cui Ray/Tom Cruise porta via la sua prole dalla casa materna, anch’essa ridotta a pochi mattoni. Dopo l’11 settembre la paura per tutto ciò che non è americano domina la società d’oltreoceano, e sembra fin troppo ovvio riscontrare questa fobia all’interno dell’attacco alieno che mette a ferro e a fuoco i quartieri delle città: “sono i terroristi?”, chiede in pieno delirio la piccola Rachel/Dakota Fanning (attrice d’oro, il futuro è suo); inoltre il patriottismo estremo del fratello maggiore sembra dirla lunga su come lo Zio Sam (o zio Steven?) vede tutto ciò che può minare la tranquillità della popolazione stellestrisce. Una pellicola emozionante, che si va ad inserire senza ostacoli tra i migliori film di fantascienza dell’ultimo decennio, …e se qualcuno dovesse rimanere deluso dal finale, geniale a pensarci bene, se la prendesse con Wells: lo scrisse più di un secolo fa, quando il cinema emetteva i primi vagiti…

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2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Ale55andra ha detto:

    Ammetto che all’epoca, quattro anni fa, non mi piacque, però dovrei rivederlo. Ah, la sequenza co Tim Robbins mi è rimasta veramente impressa, la Fanning mi sta antipaticissima…

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  2. cinemaleo ha detto:

    Al centro dovrebbe esserci la storia molto intima di una famiglia, con un padre fallito e figli che non hanno alcuna stima né simpatia per lui: il viaggio che intraprendono per sfuggire agli invasori li unirà stabilendo un rapporto nuovo di comprensione e di amore. Ma è proprio questo l’aspetto meno riuscito dell’opera: la vita di quest’uomo e il suo rapporto con i figli non riescono a coinvolgere, non emozionano.
    Spesso si cade nel ripetitivo: a volte il film sembra girare a vuoto e ci si annoia.
    L’intento è di fondere fantascienza, avventura, suspense, dramma ma difetta la mancanza della capacità, tipica del miglior Spielberg, di mescolare realtà e fantasia senza soluzione di continuità: inventiva originalità creatività latitano completamente.
    Le diavolerie tecniche (e sonore, soprattutto) sono naturalmente mirabolanti (bellissima la sequenza dell’incrocio, una scena di folla caratterizzata dalla presenza di un numero incredibile di effetti), ma Hollywood da tempo ci ha abituato ad esse e quindi è sempre più difficile stupire ed entusiasmare il pubblico solo con esse.

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