CONCLUSIONI: IL FUTURO DEL CRITICO
Il domani del critico cinematografico è assai incerto, il bombardamento mediatico e le nuove tecnologie hanno reso il pubblico di cinema sempre più informato, esigente, relegando il compito del critico cinematografico in una posizione di dubbia importanza, quasi di impotenza. Il critico Alessio Guzzano ha affermato in tal senso che ormai la critica non esiste: «Invece esistono soltanto i critici, vittime/artefici di allenate, motivabili pulsioni. È una realtà inevitabile. (…) Forse che il critico non è soltanto un mezzo ma anche parte del fine?». Alberto Pezzotta ci ha spiegato che «della scomparsa della critica cinematografica si parla da quasi trent’anni. La scomparsa del critico fa parte dell’evoluzione dell’industria culturale, che non sa che farsene di analisi approfondite, e richiede semplici “imbonitori”, figure omologhe al sistema che ratificano il già noto e danno “consigli per gli acquisti”». Abbiamo domandato invece ad Eugenio Renzi dei «Cahiers du Cinéma» quale sarà il futuro del critico cinematografico, se il web sarà l’unica via di sopravvivenza per questa figura professionale:
«Il supporto non mi pare la questione essenziale. Per quanto mi riguarda, quello che distingue e definisce il lavoro del critico è il suo essere sociale. Vale a dire il rispecchiamento tra la sua attività lavorativa e la committenza sociale di questa stessa attività.
Mettiamo il caso che oggi la funzione sociale della critica sia al cento per cento prescrittiva (è vero il contrario). In questa ipotesi, il critico è un individuo che decide se un certo film è da vedere oppure no. A partire da questa definizione generica, si può immaginare il tipo di situazione in cui questo critico va ad operare. Vale a dire la relazione che egli ha sia con il mondo del cinema sia con i suoi lettori. Se la sua critica è eminentemente prescrittiva, ad esempio, per poter funzionare i suoi lettori devono conoscere il suo nome e fidarsi del suo giudizio. Inoltre, l’economia cinematografica in cui agisce questo tipo di critico, non può essere troppo estesa. Il nostro critico prescrittivo, perché il suo giudizio possa applicarsi autorevolmente, deve (in linea di principio) poter vedere tutti i film che escono in sala.
La spersonalizzazione della critica è senza dubbio legata al web. Ma non è sicuro che esso sia il solo fattore, né il fattore determinante. Quello principale, mi pare la moltiplicazione delle uscite in sala e l’accelerazione dei tempi di sfruttamento delle pellicole. Lo spettatore della multisala non ha bisogno del critico prescrittivo. Ma di una critica più modestamente descrittiva. Egli vuole sapere, tra i tanti titoli che offre una multisala, quale corrisponde di più al genere di film che gli è congeniale, per questo, la critica prescrittiva classica non va bene. Innanzitutto perché non è abbastanza reattiva ed esaustiva. In secondo luogo perché utilizza delle categorie che non interessano per forza lo spettatore medio, il quale tende a trovare più utili e più affidabili i giudizi brevi riassunti nei siti dove vengono al tempo stesso esposti i programmi delle sale.
D’altro lato, non è detto che la critica cinematografica classica sia destinata a sparire. Non essendo un ente metafisico, essa è legata a sua volta a delle pratiche di consumo del cinema. Pratiche che non sono più quelle degli anni cinquanta e sessanta. Oggi una parte della cinefilia è ancora legata alla sala (in Francia grazie ad un circuito definito dall’Action culturelle pubblica). Contemporaneamente, non è possibile essere realmente al corrente delle tendenze attuali del cinema senza passare per altri supporti. I Dvd ovviamente. Ma ancora di più i tracker privati di scambio di materiale cinematografico d’autore tipo karagarga.net. Vere e proprie cineteche su internet dove è possibile trovare film di Jean-Claude Rousseau, piuttosto che di Wakamatsu Kogi o di Stephen Dwoskin. Siamo in una fase di transizione. Ma a queste pratiche di scambio e di consumo seguiranno altrettante pratiche di scrittura sul cinema. Probabilmente non saranno i giornali cartacei, che in ogni caso, salvo rari casi, non offrono più da anni uno sguardo interessante sul cinema né radicale né commerciale. Quanto alle riviste, stanno evolvendo. Probabilmente ci sarà un’esplosione di pratiche diverse. Alcune molto arcaiche (come la pubblicazione di libri), altre più moderne e agili, come la produzione di piccoli video».
Secondo il punto di vista di Renzi il problema non è su quale supporto (cartaceo oppure online) il critico può esistere, quanto la funzione che deve assolvere all’interno della società: una funzione sociale di servizio per un pubblico che non vuole più sapere che film vedere, piuttosto informarsi sull’argomento dei film presenti in sala. In quest’ottica la funzione del critico di cinema si ridurrebbe ad una mera occupazione da cronista, una figura spersonalizzata, senza un compito o una coscienza. Se questa è una delle possibili strade su cui si sta dirigendo la figura del critico cinematografico, non è per questo detto che si tratti di una strada a senso unico, o di un vicolo cieco: abbiamo visto come i cambiamenti del cinema, ma anche della società in cui il cinema esiste, hanno fatto in modo che anche la critica cinematografica si evolvesse, cambiasse. Se un gruppo di giovani coraggiosi e caparbi nella Parigi degli anni 50 è riuscito a reinventare il ruolo del critico cinematografico non è da escludere che una nuova coscienza critica collettiva in un futuro non così lontano non riesca a portare il cinema verso direzioni impensabili, e di conseguenza riportare il ruolo del critico verso nuove ribalte, permettendo a questa figura professionale di riacquistare la consapevolezza necessaria che gli permetta di rivestire nuovamente un ruolo di importanza sociale di primo piano, perlomeno in ambito cinematografico.
Il futuro imminente ci fa pensare ad una inevitabile fusione tra il critico della carta stampata e il critico online: se l’uno non riuscirà a sconfiggere l’altro (come ad esempio succede in America), allora ci troveremo di fronte ad una sorta di “alleanza” tra le due parti, con la presenza di critici contemporaneamente su due supporti (una strada intrapresa al momento da Paolo Mereghetti, Piera Detassis e Alessio Guzzano, i tre critici italiani “cartacei” più seguiti sul web). Di conseguenza, non possiamo che fare nostre le parole di Alessandro Regoli, caposervizio del sito Mymovies.it, uno dei siti cinematografici più importanti in Italia: «Credo che una critica stampata che non comunichi con il linguaggio di internet, sia senza futuro. Sono le nuove generazioni che non comprano i giornali ed è a queste che bisogna guardare se si vuole un futuro».
Abbiamo domandato a Paolo Mereghetti, uno dei più autorevoli ed importanti critici italiani degli ultimi decenni, la sua opinione sull’argomento:
«Sul futuro del critico cinematografico si fanno secondo me molte confusioni. È evidente che l’evoluzione del mezzo di comunicazione (carta stampata, rete, video, altro ancora) inciderà sulla diffusione e la popolarità (intesa come numero di contatti) del critico, ma non potrà influire sul suo ruolo, perché un critico non è chi si autodefinisce tale ma piuttosto chi è riconosciuto come tale. Anche sulla carta stampata, sono molti quelli che scrivono di cinema ma quanti sono quelli a cui i lettori e gli spettatori riconoscono una vera autorevolezza? È questo il punto: chiunque può esprimere critiche e opinioni su un film ma secondo me sono pochi quelli che vale la pena di leggere. O meglio, quelli a cui si può riconoscere un’autentica autorevolezza. Autorevolezza che deriva solo dalla sua credibilità, cioè dal rapporto di fiducia che si è instaurato (in un certo lasso di tempo) tra scrivente e lettore e che ogni volta viene rimesso in gioco. Solo questo può essere davvero definito un “critico”, indipendente dal mezzo su cui scrive. Fare critica è una pratica che prevede una serie di elementi (analisi del testo, del linguaggio, della regia, della storia del regista, del contesto socioeconomico, ecc) che non possono essere surrogati in un semplice giudizio di gusto o di piacere. Tutti possono dire che hanno amato o detestato un film, il lavoro critico comincia dopo, quando quel giudizio viene spiegato e giustificato in maniera non epidermica. E francamente non vedo perché debba essere importante il mezzo su cui lo si fa. Per questo non tendo a dare un particolare valore alla rete solo in funzione della sua accessibilità (che della democrazia ha solo le caratteristiche maggioritarie, ma non certo il valore morale), mi interessa chi sa motivare le sue scelte e i suoi giudizi».
Ad ogni modo quella sul futuro del critico di cinema è senza dubbio un’indagine interessante, una questione ancora aperta che si muoverà all’interno degli ambienti cinematografici ancora per molti anni. Ma per il momento è opportuno arrestarsi, in attesa di osservare in che direzione ci porterà il domani. Il futuro sembra grigio, ma la presenza di decine e decine di giovani critici ai festival cinematografici e alle anteprime per la stampa lascia accesa la fiammella della speranza nei confronti di una possibile resurrezione della figura del critico cinematografico: d’altronde anche un orologio fermo segna l’ora giusta due volte al giorno.


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