Recensione “Amabili resti” (“The lovely bones”, 2009)

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Ancora la Terra di Mezzo: no, non si tratta nuovamente di “Lord of the Rings”, ma della dimensione in cui si ritrova la giovane protagonista del nuovo film di Peter Jackson, un luogo a metà strada tra cielo e terra, un purgatorio paradisiaco (perdonate il gioco di parole), un luogo dove i ricordi e le immagini dei nostri cari sono ancora visibili, dove è ancora possibile sfiorare le vite di chi combatte con il dolore, la sofferenza per la perdita di Susie: una figlia, una sorella, un’amica.

Susie è una quattordicenne solare, sveglia, appassionata; il rapporto con la sua famiglia è stupendo, e finalmente sta per uscire con il ragazzo che le fa vibrare il cuore. Un giorno però, dopo la scuola, un vicino di casa attira Susie in un bugigattolo costruito sotto ad un campo di granturco: qui la ragazza viene uccisa, e il suo corpo nascosto. L’anima della ragazza finisce in un mondo di mezzo, un luogo ricco di pace e serenità, dal quale Susie cercherà in qualche modo di consolare i famigliari in lacrime e allo stesso tempo cercando di far capire a papà Mark Wahlberg l’identità del suo assassino.

Jackson trae il film dal bestseller omonimo di Alice Sebold, ma fallisce il colpo: la pellicola ricorda  “Ghost” (anche troppo, soprattutto nel finale), e dal momento in cui Susie viene uccisa, smette lentamente di funzionare, verso una conclusione che fa scuotere inevitabilmente il capo. Le buone idee non mancano (la dimensione onirica dove finisce la giovane è affascinante), ma vengono sopraffatte da una serie di soluzioni di sceneggiatura poco efficaci, se non dannose (l’intermezzo in cui Susan Sarandon arriva nella casa a tempo di rock lascia esterrefatti, per dirne una).

Peter Jackson sembra aver perso lo smalto dei tempi migliori, e se già con “King Kong” aveva raccolto parecchi sbadigli, anche stavolta sarà dura trovare grandi consensi. Ciò che resta di amabile in questo nuovo film è l’ottima interpretazione del cast (la giovane Saoirse Ronan, Mark Wahlberg, Rachel Weisz, Stanley Tucci e Susan Sarandon sono impeccabili) e il fascino di alcune sequenze nella dimensione di mezzo (che meraviglia le navi dentro le bottiglie mentre si schiantano sugli scogli). Quel che resta è purtroppo difficile che possa risultare “amabile”, senza dimenticare la frase di chiusura, che ha costretto il pubblico ad ingegnarsi nei gesti scaramantici più originali: «vi auguro una vita lunga e felice». Quella che il film probabilmente non avrà. Peccato.

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