Recensione “L’uomo nero” (2009)

Decimo lungometraggio da regista per Sergio Rubini, che ancora una volta si rapporta con la sua terra: un viaggio nei colori della Puglia e di Paul Cezanne, ma soprattutto uno sguardo sui pregiudizi di paese, un’indagine su una famiglia tenace e genuina, vista con gli occhi di un bambino che osserva e giudica. Un punto di vista però ancora troppo acerbo per capire la frustrazione e l’impotenza di un padre costretto a sbattere il muso con una quotidianità troppo stretta, umiliata dai pregiudizi di chi la vorrebbe sapere lunga, in realtà solo uno specchio della meschinità che si può nascondere tra i vicoli di un paese di provincia.

Gabriele torna nel piccolo comune dove è cresciuto per dare l’ultimo saluto al padre morente: l’incontro riaccende in lui i ricordi dell’infanzia, dove papà Ernesto, capostazione con velleità artistiche (sogna di essere ricordato per la sua umile professione così come “il doganiere” Rousseau), aveva costruito intorno a sé un’immagine di severità e perenne insoddisfazione. Una vita da “vorrei ma non posso” quella del padre, grande appassionato di Cezanne a tal punto da raccogliere la sfida e proporre una sua copia dell’autoritratto, un piccolo capolavoro ridotto in miseria dalla penna dei critici di paese, inamovibili dai loro pregiudizi. Ma una volta tornato nella casa di famiglia Gabriele scopre un segreto che cambierà totalmente l’immagine di suo padre, togliendogli di dosso il ricordo di un uomo cattivo, e restituendo il vero valore della sua persona.

Rubini pennella la sua Puglia con colori e personaggi dal sangue caldo, dipingendo una commedia drammatica che rivanga tra ricordi semiautobiografici e ispirazioni del passato. Butta nella mischia un bambino esordiente, il bravissimo Guido Giaquinto, e lo fa muovere tra lo stesso Rubini (il padre), Valeria Golino (la madre, antica e moderna al tempo stesso) e un ottimo Riccardo Scamarcio (lo scanzonato zio). Lo shining dell’immaginazione regala al piccolo Gabriele un rifugio sicuro dove ripararsi nei momenti difficili, un po’ come la Puglia per Sergio Rubini, che dopo il flop di “Colpo d’occhio” torna a casa ritrovando le splendide atmosfere de “La terra” e la vena creativa dei giorni migliori.

pubblicato su Livecity

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3 commenti Aggiungi il tuo

  1. MonsierVerdoux ha detto:

    saranno passati vent’anni da rain man, ma valeria golino resta sempre uguale!

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  2. Lessio ha detto:

    anche lei forse ha un quadro che invecchia al posto suo… 😉

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  3. mobetterblues ha detto:

    Un telefonatissimo finale, un incipit molto "nuovo cinema paradiso" per un film valido.

    La descrizione della vita comune. La vita di tutti noi, di quelli che "vorrei ma non posso". Ma che alla fine rimangono i piu’ puri, retti nella vita, nei valori e nei principi. Noi, uomini della strada, che ci contrapponiamo ai potenti (la coppia di critici d’arte – molto "gatto e la volpe"), che (ci) appaiono migliori; ma solo superficialmente…

    La vendetta e’ un piatto che va servito freddo. O forse non va neanche servito.

    Consigliabile a chi apprezza il cinema italiano.

    Rubini come al solito un ottima macchietta, con quell’accento pugliese che non puoi far altro che cercare di imitare per un paio di giorni dopo la visione del film.

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