Si è chiusa a Park City, nevosa città dello Utah, la 26° edizione del Sundance Film Festival, probabilmente la più celebre vetrina del cinema indipendente statunitense e non, fondata nel 1978 dall’attore Robert Redford, il quale ha dato il nome di uno dei suoi personaggi più celebri (Sundance Kid, dal film Butch Cassidy) alla manifestazione, ormai divenuta un punto di riferimento per i cineasti indipendenti di tutto il mondo.
Il bilancio di quest’anno è totalmente positivo: grande partecipazione di pubblico e una selezione di pellicole (quasi cento) impegnate sul sociale e dalla notevole qualità artistica. Su tutti ha trionfato Winter’s Bone di Debra Granik, la storia di un’adolescente in viaggio attraverso la regione selvaggia delle montagne di Ozark, nel mezzo degli States, per ritrovare suo padre, un trafficante di droga. Sul fronte documentari la giuria ha premiato Restrepo di Sebastian Junger e Tim Hetherington, due giornalisti immersi nelle assurdità e nelle violenze della guerra in Afghanistan, insieme ad un plotone di quindici soldati. Il pubblico ha invece voluto premiare il documentario Waiting for Superman di Davis Guggenheim, che indaga sull’instabilità del sistema di pubblica istruzione degli Stati Uniti nonostante l’incremento della spesa e le promesse dei politici, e soprattutto HappyThankYouMorePlease dell’esordiente Josh Rador (protagonista della serie tv How I Met Your Mother), che disegna le vite di sei newyorkesi alle prese con gli eterni temi dell’amore, dell’amicizia, e dell’imprevedibilità del futuro. L’australiano Animal Kingdom di David Michod, la storia di un diciassettenne diviso tra la sua famiglia criminale e un poliziotto nei guai, è invece il miglior film straniero.
Da segnalare un premio speciale della giuria per il bravissimo Mark Ruffalo, uno degli attori più apprezzati dell’ultimo decennio, passato per la prima volta dietro la macchina da presa per realizzare Sympathy for Delicious, in cui un dj paralizzato (Orlando Bloom) scopre di poter guarire le malattie delle persone che lo circondano. A rappresentare l’Italia ci ha pensato Luca Guadagnigno con il suo Io Sono l’Amore, unica pellicola italiana presente quest’anno al Sundance, mentre il film che ha fatto più discutere è stato probabilmente Buried di Rodrigo Cortes, girato interamente all’interno di una bara. Questi i verdetti di un’edizione del Sundance Festival come d’abitudine votato alla qualità e alla scoperta di nuovi talenti: l’appuntamento è per il 2011.


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