«Qui non si può suonare quello che vuoi, qui non puoi dire quello che vuoi!». Dietro questo sfogo di Negar, una delle giovani protagoniste del film, c’è la voglia di sfuggire ad un regime che non permette la libertà di espressione, che chiude ogni porta, nega ogni sogno: l’unica chiave per aprire una porta serrata è la musica, e il progetto di una fuga in Europa che rappresenta la libertà. Dopo il clamoroso successo al Festival di Cannes, arriva anche in Italia (purtroppo in pochissime sale) il film di Bahman Ghobadi, girato senza autorizzazione, che ha costretto il regista di origine curda ad auto esiliarsi per evitare le pene alle quali sarebbe inevitabilmente andato incontro se fosse rimasto in Iran.
Negar e Ashkan amano l’indie rock e compongono delle splendide canzoni. In Iran però la loro musica è proibita, ogni cosa è controllata e censurata: l’unico modo che resta loro per esprimersi è mettere su una band e andare in Europa a suonare. Il buon Nader, appassionato di musica e di cinema, si impegna ad aiutare i ragazzi nella ricerca di componenti per la band e dei passaporti necessari alla partenza. Negar e Ashkan cominciano così un lungo cammino attraverso Teheran alla ricerca di nuovi elementi per il gruppo scoprendo in questo modo un universo musicale costretto a strisciare in clandestinità, alle spalle del regime.
Un’opera rock, non solo per quanto riguarda il tema musicale del film, ma per i valori da sempre incarnati e collegati a questa parola: ribellione, libertà, evasione, espressione del proprio io. Un film bellissimo e allo stesso tempo frustrante, ad ogni modo coraggioso e necessario, che elargisce sogni con i suoi riff ma che picchia duro con la sua inconcepibile realtà, contro la quale i protagonisti sono ripetutamente costretti a sbattere la faccia. Nietzsche disse: “senza la musica la vita sarebbe un errore”, e non vedere questo film sarebbe davvero un grande errore.
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