«John, non puoi mettere quella camicia, è nera, sembri uno che va a un funerale» «Forse è così». Nasce in questo modo la storia del cosiddetto “uomo in nero”, colui che in apertura dei suoi concerti sussurrava al microfono «Hello, I’m Johnny Cash»: tutto ciò che la sua gente aveva bisogno di sentire. Johnny Cash, una delle stelle più luminose del firmamento musicale mondiale, padre della musica country, emerso da Memphis gomito a gomito con Elvis Presley e Jerry Lee Lewis, tutta gente che ha reinventato la musica. Tuttavia non è un film sulla musica di Johnny Cash, ma un film sulla rinascita di un uomo, un film sull’amore, quello che brucia l’anima (come da titolo italiano) e che apre gli occhi, portando a fare tanti passi indietro nella ricerca di se stessi, per il bene di entrambi. La magia riesce grazie alle straordinarie interpretazioni di Joaquin Phoenix, che riporta sullo schermo l’elettricità di Cash, e di Reese Whiterspoon (premio Oscar per lei), che ha con sé l’energia e la grinta di June Carter, oggetto del desiderio, musa e salvezza del cantautore americano.
Non è stata una vita facile quella di Johnny Cash: da bambino perde il fratello maggiore in un tragico incidente sul lavoro, il figlio preferito dal padre, che porterà i due ad un acceso conflitto mai davvero risolto. Il servizio militare lo allontana dalla famiglia e lo porta in aviazione, dove una chitarra permetterà a Cash di sfogare la sua amarezza verso il mondo esterno. Le sue sono storie di disadattati, di carcerati, di gente comune in cerca di redenzione (“Folson Prison Blues” ne è un esempio), tuttavia la sua anima lo porta a cercare successo con il gospel. Ma secondo Sam Phillips, storico produttore della Sun Records di Memphis, il gospel non vende, ed è così che il “man in black” proporrà il suo sound costante come un treno e tagliente come un rasoio, trovando il successo tanto agognato. Ma una volta in cima si è sempre sull’orlo del precipizio, e così la droga e i problemi matrimoniali con la prima moglie Vivian porteranno Cash alla disfatta, giorno dopo giorno, canzone dopo canzone, tour dopo tour, mentre intanto l’amore nei confronti di June arde sempre di più forte.
La musica è al servizio del film: i successi di Johnny Cash, reinterpretati dagli stessi attori, accompagnano le sequenze della pellicola, talvolta nascendo dalle sequenze stesse, perché nella musica dell’uomo in nero c’è la difficoltà di una vita vissuta sempre all’eccesso, con il piede a spingere il pedale dell’acceleratore anche a rischio di fondere (ed è eloquente in tal senso la scena del trattore impantanato durante il giorno del Ringraziamento). June è l’ancora di salvezza, l’amica che lo fa star bene, l’amore che lo fa star male; i duetti sul palco sono l’occasione per averla vicino, per sentirla parte di sé, e scendono i brividi quando i due si ritrovano a cantare “It Ain’t Me Babe” (meravigliosa canzone di Bob Dylan): il testo della canzone recita «non sono io quello di cui hai bisogno, non sono io quello che cerchi», ma quando la coppia intona il ritornello nei loro occhi c’è la grande contraddizione di due persone che non possono stare lontane l’una dall’altra. Quando l’amore brucia l’anima non resta dunque che lasciarsi andare ad esso, nella ricerca di se stessi, nella ricerca dell’altro, nella fusione tra musica e sentimenti, in questo caso nella miscela tra musica, sentimenti e cinema, che è ciò che serve per generare il capolavoro. «Stai tenendo questa gente sulla brace, John» afferma June in una delle scene più emozionanti del film, perché in realtà a bruciare sulla brace siamo noi: e Cash risponde a nome di tutti, con il fiato sospeso: «Sei tu che mi tieni sulla brace». E non è un caso se il cantante è scomparso nel settembre del 2003, quattro mesi dopo la morte della sua June. Un film indimenticabile, romantico e potente, su un uomo che ha raccontato per decenni la sua America, lasciandoci in eredità il grande vuoto di un artista che il mondo di oggi non riuscirebbe più a generare.