Walter Salles è uno che di strada un po’ se ne intende: tutti ricorderanno “I diari della motocicletta” con cui il regista brasiliano ha celebrato il viaggio di Ernesto Guevara e Alberto Granado per la loro maiuscola America. Stavolta Salles prende in mano un progetto ancora più ambizioso, passato negli anni tra le mani di suoi illustri colleghi che, per un motivo o per l’altro, non hanno mai avuto modo di portare il capolavoro di Kerouac su grande schermo. E così le avventure di Sal Paradise e Dean Moriarty trovano vita cinematografica sulle strade polverose di quegli Stati Uniti in cui esisteva ancora il gusto della scoperta, del viaggio, del luogo incontaminato. Erano i tempi in cui esistevano ancora persone che si mettevano in viaggio verso la California alla ricerca di qualcosa che non trovavano, perdendosi lungo la strada ed infine ritornando da dove erano venute, in cerca di qualcos’altro ancora.
Sal Paradise (alter-ego letterario dello stesso Kerouac), scrittore silenzioso e ragazzo docile, incontra Dean Moriarty a New York, restando affascinato dal carisma e dalla fame di libertà e di vita del suo amico (personaggio costruito sulla figura di Neal Cassady, altra icona della Beat Generation). I due decidono di mettersi in moto insieme a Marylou, moglie di Dean, in un viaggio verso la California che cambierà per sempre il loro modo di vivere e la loro concezione del mondo.
Dean e Sal scorazzano per gli States (e più tardi anche per il Messico) bruciando come candele accese da entrambi i lati, consumandosi tra droghe ed eccessi, ma restando sempre a galla. Salles forse esagera con gli eccessi, caricando la pellicola di sesso e droga, e lasciando un po’ da parte l’essenza stessa del viaggio, la ricerca interiore dei protagonisti. Ma al di là delle atmosfere un po’ confusionarie (senza dimenticare che il libro di Kerouac non lo è meno), “On the road” è un film che si respira, non si vede: si ha quasi l’impressione di toccare il tessuto del sedile della Hudson sulla quale viaggiano i protagonisti, di sentire il vento farsi strada tra i capelli, e anche di sentirci stanchi per tutti i chilometri percorsi. Un film che regala una grande fame di strade nuove, ed è il suo merito più grande, anche perché come diceva lo stesso Kerouac, «la strada è la vita».
pubblicato su Livecity
Sì, però il testo di partenza è un capolavoro. Non so, ho paura di vedere questo film…
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Poteva essere fatto meglio? probabilmente sì. Ce lo ricorderemo nei decenni? probabilmente no. Non pensiamo a Kerouac, godiamoci il film per quello che è. Preso come un film, e non come la trasposizione di un libro leggendario, ha il suo perché
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