Recensione “Blue Valentine” (2010)

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Il titolo è quello di un album del 1978 di Tom Waits, in cui il cantautore americano cantava la fine di un amore ancora forte nei suoi ricordi. Il film, che arriva in Italia con due anni di ritardo, è del quasi esordiente Derek Cianfrance, che ha riscosso consensi al Sundance 2010 e al Festival di Cannes dello stesso anno (nella sezione Un Certain Regard). È la storia di un amore, ma non una storia d’amore: interamente retto sulle spalle di due attori eccezionali, Ryan Gosling e Michelle Williams, Blue Valentine racconta il rapporto di una coppia alternando il grigio presente al dolce e romantico passato.

Dean e Cindy sono sposati e hanno una bambina bellissima e sorridente. Il loro matrimonio però sembra dare segni di cedimento: Dean pensa di vivere il sogno americano, ma in realtà dipinge pareti e beve troppo; Cindy interiorizza tutto per poi esplodere con tutto il suo livore e la sua amarezza. Alternato a questo presente, dove Dean spera di regalare al suo matrimonio un’ultima notte di speranza, ci sono i flashback del loro splendido passato, quando erano un po’ più giovani e pieni di belle intenzioni. Il ricordo del loro incontro, il primo appuntamento, i momenti di dolcezza, di passione, la promessa di amore eterno. È una storia come ce ne sono tante, come ce ne sono state e come ce ne saranno ancora: è una storia reale, credibile e forse è per questo che rende così tristi.

Un film di questo genere non potrebbe funzionare senza due attori all’altezza. Gosling, dopo il ruolo da silenzioso protagonista di Drive, è un ingenuo e al tempo stesso rabbioso romantico, mentre Michelle Williams gioca sul non detto, regala un’interpretazione di sottrazione per poi mostrarsi come reale centro di gravità della pellicola (un ruolo per cui tra l’altro la Williams ottenne la nomination agli Oscar nel 2011). Interessante anche la scelta stilistica del regista, che usa il digitale per raccontare il presente e la pellicola a 16mm per disegnare la magia del passato, dove anche l’amore sembra essere vintage. Un film pessimista? Forse, ma tirando le somme della loro storia viene voglia di pensare ad una frase di De Andrè: “È stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati”.

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