Ispirato da una storia vera, e con un occhio alle commedie italiane del dopoguerra e al cinema sociale e leggero di Ken Loach, il regista e sceneggiatore francese Jerome Enrico ha realizzato una favola moderna, piena di humour ma al tempo stesso con una sottile vena di denuncia. Oltre un milione di spettatori in Francia hanno premiato il tentativo (riuscito) di Jerome Enrico di raccontare con simpatia la solitudine della terza età e il precariato. La presenza forte di una protagonista importante come Bernadette Lafont, una delle muse di Truffaut (la ricorderete magnifica in “Mica scema la ragazza!”, del 1971), rende inoltre tutto più semplice e più “francese”. Vedere un’icona della nouvelle vague in una commedia degli anni 2000 è uno di quei giochi di prestigio che il cinema sa realizzare, basti pensare alla splendida Jeanne Moreau vista di recente in “A lady in Paris”, dopo essere stata consegnata alla leggenda dallo stesso Truffaut in “Jules e Jim”.
Paulette è un’anziana vedova della periferia di Parigi, costretta a cercare cibo nella spazzatura del mercato e a vivere di stenti, a causa di una pensione che non le permette di arrivare a fine mese dignitosamente. Nel suo comprensorio c’è un giro di droghe leggere, e osservare i loschi movimenti dei ragazzi fuori dal suo palazzo le suggeriscono un’idea assurda ma in fin dei conti sensata: spacciare droga per guadagnare più soldi. In fin dei conti chi sospetterebbe di un’anziana signora? Il suo talento per gli affari e le sue doti da pasticcera porteranno a Paulette soldi e fama, ma ben presto capirà che non si entra in questo giro senza correre rischi e senza mettere in pericolo se stessa e le persone che ama.
La commedia francese da sempre gode in Italia di ottimi riscontri e dei favori del pubblico. “Paulette” non è un film indimenticabile, non ha la genialità de “La cena dei cretini” o l’irresistibile entusiasmo di “Giù al nord”, ma ha tutte le carte in regola per far trascorrere una serata con una piacevole risata. Paulette e le sue amiche non danno lezioni di vita, ma in un certo senso fanno capire che la terza età non va vissuta con un senso di inutilità e di abbandono, ma che ognuno può sempre recitare la sua parte, rendendosi utile. E poi, quell’arte di arrangiarsi di italica provenienza, che al cinema funziona sempre bene.
pubblicato su Livecity