Terrence Malick deve essere una sorta di extraterrestre: per anni ci ha osservato dall’alto, ha capito tutto di noi, e poi un bel giorno, con “The tree of life”, ha deciso di cominciare a dircelo. È impressionante la sua capacità di farci sentire piccoli e al tempo stesso parte di un qualcosa di immenso, grandioso, meraviglioso. Con “To the wonder” Malick prosegue sul percorso tracciato dal film precedente, indagando questa volta le mille sfaccettature del rapporto di coppia, passione e compassione, doveri e dolori, indecisioni, tradimenti, gioia, sofferenza. I film di Malick sono sempre un’esperienza, visiva e sensoriale, che non lascia mai indifferenti: si amano, si odiano, ma ad ogni modo generano in noi qualcosa che tende a modificare la nostra percezione del mondo, talvolta della vita stessa. In poche parole, i film di Malick sono un’ispirazione.
Neil e Marina, all’inizio del loro amore esploso a Parigi, partono insieme per Mont St. Michel, noto in Francia come “la Meraviglia”. Si amano, e Neil decide di portare Marina e la bambina di lei a vivere in Oklahoma insieme a lui. Neil si sente a casa ma il suo amore sembra cominciare a scemare. Marina cerca conforto nelle parole di un prete spagnolo che però sta perdendo la fede. La passione è sempre destinata a lasciar spazio al vuoto? Si può riprendere, si può ritrovare, o tutti gli amori, le cose in cui crediamo, dovranno cedere al tempo? Malick ci pone queste domande e ci offre il suo punto di vista, interroga e si interroga, parla direttamente alla nostra anima. Il suo cinema è “amore che ci ama”, per usare le parole di Marina. Potete amarlo, potete odiarlo, ma non potete non vederlo.