Recensione “Chi è Dayani Cristal?” (“Who is Dayani Cristal?”, 2013)

“Gli Stati Uniti investono milioni di dollari per il muro che separa il confine con il Messico, investono milioni di dollari sulla morte. Quei soldi andrebbero investiti sugli esseri umani”. Vincitore del Cinematography Award al Sundance Festival, il documentario di Marc Silver e Gael Garcia Bernal è un racconto di immigrazione che pone al centro della storia gli esseri umani: nel deserto dell’Arizona la polizia trova il corpo di un uomo in decomposizione. Nessun documento di identità, nessun idea su chi possa essere e da dove venga, l’unico indizio è un tatuaggio sul petto con la scritta: “Dayani Cristal”. Mentre il regista Marc Silver segue un team di operatori dell’obitorio della Contea di Pima, per risalire in qualche modo all’identità dell’uomo, Gael Garcia Bernal ripercorre i passi del misterioso uomo senza nome, per cercare di avvicinarsi a lui, fisicamente e spiritualmente. Accompagnato dalle musiche dei Calle 13 (praticamente un’istituzione in America Latina, per farvi un’idea ammirate lo straordinario videoclip della canzone “Latinoamerica”) e dall’occhio di una macchina da presa invisibile, l’attore e attivista messicano si lancia in un’avventura viva, in cui il dramma umano è raccontato con una sensibilità unica, con sorrisi di speranza, con sguardi carichi di desideri, motivazioni, sogni. Bernal si mescola ai migranti in missione per superare il confine, ascolta le loro storie, condivide le scomodità del loro viaggio e il poco cibo.

“Chi è Dayani Cristal?” arriva in Italia grazie al Festival di Roma, dove verrà presentato fuori concorso all’interno della sezione Alice nella Città, proprio nella settimana in cui nei cinema italiani arriva “La gabbia dorata”, splendido film messicano in cui ad intraprendere il viaggio sul treno della morte sono invece tre ragazzi. Due modi diversi ma ugualmente interessanti di raccontare la migrazione, la frontiera, ma soprattutto il valore degli esseri umani.

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