Recensione “Prossima fermata Fruitvale Station” (“Fruitvale Station”, 2013)

Dopo ogni film, finiti i titoli di coda e accese le luci in sala, c’è sempre un grande chiacchiericcio: volano commenti, saluti; qualcuno guarda il cellulare per controllare i messaggi. Stasera, al termine della proiezione di “Fruitvale Station”, regnava il silenzio. Il silenzio più totale, non volava una mosca. Lo ritengo un metro di giudizio abbastanza valido per capire quando un film colpisce davvero nel segno. Perchè è questo che fa l’opera prima di Ryan Coogler, premio della giuria  e premio del pubblico al Sundance Festival dello scorso anno, oltre al premio per il miglior esordio al Festival di Cannes. Grazie alla strepitosa interpretazione di Michael B. Jordan, il film rende in qualche modo giustizia alla vera storia di Oscar Grant, rendendolo prima di tutto un essere umano: un ragazzo di ventidue anni che ha commesso degli errori, ma che era pronto a ricominciare, a fare i conti con le difficoltà quotidiane, con i suoi obiettivi e le sue speranze. Cosa da non sottovalutare, la pellicola sottolinea l’importanza di Oscar nella vita delle persone che lo circondavano.

Oscar Grant è un ragazzo della Bay Area ucciso la notte di capodanno del 2009 da un colpo di pistola sparato da un agente di polizia alla stazione di Fruitvale. Proprio il giorno prima, Oscar stava festeggiando il compleanno di sua madre, era stato licenziato e aveva deciso di impegnarsi fino in fondo, legalmente, per rendere migliore la sua vita, quella della sua ragazza e soprattutto della sua adorata bambina, Tatiana, di quattro anni. Il colpo sparato a sangue freddo da un poliziotto ha però messo fine a tutti i suoi progetti.

Il punto non è se il film è bellissimo o non è bellissimo (ma comunque sì, lo è decisamente), il punto è che l’evento che sta alla base della storia è talmente gelido, talmente feroce, che è veramente difficile non empatizzare con il film. La bravura di Coogler è nel rendere straordinariamente comune (scusate l’ossimoro) Oscar Grant, di non creare facili sensazionalismi, di utilizzare tutta l’umanità del cinema indipendente per raccontarci l’omicidio di una persona innocente. Un film di grande spessore umano, prima che artistico, diretto con sensibilità e senza retorica da un regista dal grande avvenire. Una delle sorprese più belle di quest’anno cinematografico. Da vedere.

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