Recensione “Alla ricerca di Vivian Maier” (“Finding Vivian Maier”, 2013)

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Presentato al Festival di Toronto e alla Berlinale, il documentario su Vivian Maier si rivela un’indagine straordinaria sulla vita della più misteriosa fotografa del 900, bambinaia austera, artista segreta il cui tesoro è stato scoperto casualmente soltanto pochi giorni dopo la sua morte. Morta in povertà, adesso è una delle fotografe di strada più amate ed importanti del secolo scorso, con mostre a New York e Los Angeles, libri fotografici e un archivio composto da decine di migliaia di immagini. Dietro la sua figura di babysitter si nasconde un mistero affascinante: perché questa donna ha sempre nascosto al mondo il suo talento e la sua opera?

Aprile 2009. Una persona come tante, tale Vivian Maier, muore senza eredi. I suoi bauli pieni di vecchi negativi e le sue cianfrusaglie vengono messe all’asta. Proprio in quel periodo John Maloof sta scrivendo un libro sul suo quartiere di Chicago, chiedendosi dove avrebbe potuto trovare le fotografie giuste per illustrare il suo volume. Decide così di fare un giro alla casa d’aste proprio di fronte alla sua abitazione: qui acquista una scatola piena di negativi, trovando in realtà un tesoro nascosto. Maloof in breve tempo acquista tutti i negativi di Vivian Maier ritrovandosi tra le mani una collezione unica nel suo genere. Chi era questa donna? Se era una fotografa così straordinaria perché su Google non c’è una sola riga su di lei, se non il suo necrologio? Maloof apre un blog, comincia a scannerizzare i negativi e a postare l’opera di Vivian Maier su internet: si apre un mondo. Capisce che è su questo mistero che deve concentrare i suoi sforzi e il documentario racconta proprio l’indagine di Maloof nel passato di questa donna misteriosa. Aiutato dal regista Charlie Siskel, Maloof rintraccia le persone che l’hanno conosciuta, definendo sempre meglio la personalità di questa bambinaia dotata di uno sguardo fuori dal comune.

Le fotografie di Vivian Maier restituiscono spesso un’immagine bizzarra della società americana: il suo occhio si concentrava spesso sui reietti, sui poveri, sui mendicanti, ma lasciava anche spazio ad una grande tenerezza, al sorriso dei bambini (spesso proprio i bambini dei quali si occupava per lavoro), all’ironia della vita quotidiana. Chi l’ha conosciuta la ricorda come una donna molto riservata, sempre accompagnata dalla macchina fotografica, ossessionata dai ritagli di giornali. Una spia del quotidiano travestita da tata, una Mary Poppins dell’arte fotografica, ancor più misteriosa ed eccentrica, tutta d’un pezzo, dotata però di un talento assolutamente straordinario. Il film di Maloof e Siskel rivela un lato piuttosto oscuro della donna, un passato reso ancor più misterioso dalla sua abitudine di fornire sempre nomi differenti a chi incontrava, dalla totale assenza di rapporti con i parenti, dal suo astio nei confronti del genere maschile. Uno dei lati di una medaglia che comprende una collezione di opere che ormai sono divenute parte integrante della storia della fotografia.

Per saperne di più sulla Street Photography leggi qui

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