Senza la seconda parte del film è piuttosto difficile riuscire ad esprimere un giudizio completo sull’ultimo lavoro di Lars Von Trier. Il regista danese conferma tutto ciò che di buono e di cattivo si può dire su di lui: provoca, cerca di mettere a disagio lo spettatore e di certo non lo fa mai in maniera banale. Il suo film è come un abisso, Von Trier ci trascina giù con potenza, ma ancora non ci mostra il fondo. La sua trilogia con Charlotte Gainsbourg è probabilmente la trilogia dell’assurdo: tra il controverso “Antichrist” e il capolavoro nichilista “Melancholia”, “Nymphomaniac” sembra inserirsi a metà strada. Stavolta ad annichilirsi non è né il pubblico né il destino dell’umanità, ma la sua protagonista.
Durante una fredda notte d’inverno Seligman trova una donna ferita in un vicolo dopo esser stata picchiata. L’uomo decide di invitarla a casa sua per offrirle un ricovero caldo e per capire cosa le è successo: lei si chiama Joe ed è una ninfomane. Attraverso i vari capitoli della sua esistenza, Joe racconta al benefattore la storia della sua vita, fatta di sesso, scandalo, una follia di eccessi: “non si fa una frittata senza rompere qualche uovo”.
Con il solito uso perfetto delle musiche (l’incedere dei riff dei Rammstein è decisamente coerente con la messa in scena, per non parlare di Bach e della sua polifonia, protagonista dell’ultima parte del film) e un utilizzo sempre interessante della struttura a capitoli, Von Trier mette in piedi un puzzle affascinante, di cui riusciremo ad avere una visione completa soltanto dopo il secondo volume, quando Joe ci racconterà la morale della sua storia (e gli ultimi tre capitoli del film). E se per il regista l’amore è solo lussuria con un pizzico di gelosia, l’impressione è che il meglio/peggio debba ancora venire: è Von Trier.