Recensione “Tracks – Attraverso il deserto” (“Tracks”, 2013)

Bruce Chatwin diceva che “la vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada: la vita stessa è un viaggio da fare a piedi”. Robyn Davidson ha colto alla lettera questo vecchio aforisma e nel 1977 si è incamminata per il deserto australiano, attraversandolo da Alice Springs fino all’Oceano Indiano. Mia Wasikowska presta volto, piedi e sudore alla viaggiatrice australiana, trasmettendo con il suo candore tutta l’incoscienza e l’energia che scorrono nelle vene del suo personaggio, donna dalle idee chiare, dolce con gli animali, diffidente con gli uomini, seduta su un’altalena in cui vacilla tra certezze e inquietudini, tra dubbi e caparbietà.

Con la sola compagnia di quattro cammelli e del suo fedelissimo cane, Robyn Davidson sfida se stessa e il sole impietoso del deserto australiano. Non sembra conoscere neanche lei il motivo di questo viaggio, a chi le domanda il perchè risponde con l’inequivocabile “perché no?”. Riesce a trovare finanziamento grazie al National Geographic, interessato alla sua storia, con la condizione di metterle alle costole il fotografo Rick Smolan, invadente e logorroico, che però si rivelerà fondamentale per avvicinarsi all’obiettivo. Robyn cammina, incurante del caldo, dei suoi dubbi, delle sue paure, del suo passato, di tutto ciò che le accade e di tutto ciò che le può accadere. Lei cammina, perché il viaggio non è nel raggiungimento di una meta, è tutto nel percorso.

Quasi 3000 chilometri di passione, di intensità, di incredibile determinazione, oltre che di paesaggi mozzafiato. Il viaggio “into the wild” che nessuno avrebbe il coraggio di fare, ma di cui tutti noi, nell’era delle grandi tecnologie e della compagnia coatta di smartphone e tablet, avremmo probabilmente bisogno per purificarci dalle tossine del quotidiano, per rendere più limpido ciò che vogliamo da noi stessi, dal presente e soprattutto dal futuro. Un viaggio per conoscere i propri limiti? Forse, ma anche un viaggio per dimostrare che “una persona qualsiasi può fare qualunque cosa”, come scrive Robyn nella sua lettera al National Geographic. Un film meraviglioso, un’avventura magnifica, estenuante per la protagonista, ma non per chi la vivrà sullo schemo.

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