Recensione “Senza Nessuna Pietà” (2014)

Pierfrancesco Favino, appesantito di venti chili, sottovaluta le conseguenze dell’amore nella periferia di una Roma impicciata e malandrina nella quale risuonano lontani echi di Carlito’s Way. Michele Alhaique è bravo, ha capito che con grandi silenzi e la purezza dello sguardo può creare emozioni potenti. Senza Nessuna Pietà colpisce pienamente nel segno, grazie ad un antieroe né particolarmente bello né particolarmente simpatico, ma al quale inevitabilmente ci si affeziona, anche per merito di tutti gli sforzi da lui compiuti in funzione di un amore quasi assurdo.

Mimmo lavora come muratore, ma per gratitudine nei confronti di uno zio strozzino, che lo ha cresciuto come un figlio, si occupa di recuperare crediti tra i palazzi delle periferie di Roma. Un giorno, a causa di un imprevisto, Mimmo è costretto a passare 24 ore con Tanya, giovane e bellissima escort, che lo farà innamorare. Mimmo e Tanya sono due persone diversissime unite dalle loro solitudini, dal bisogno e dalla necessità di sentirsi amate, di sentirsi trattate come esseri umani. Mimmo, dopo un gesto dettato dalla compassione e dall’amore, si ritroverà costretto alla fuga insieme a Tanya, verso un futuro utopico che si ha però la sensazione di poter quasi toccare con mano.

Una storia d’amore fuori dagli schemi, coraggiosa, raccontata con un pregevole gusto per l’immagine e cura dei dettagli. Un esordio incoraggiante per un regista giovane, capace di mostrare l’animo graffiato di Roma, tramonti mozzafiato, il cuore e l’anima di due solitudini in cerca di umanità.


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