Recensione “American Sniper” (2014)

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La guerra cambia le persone, questo si sa. Lo abbiamo visto in tanti film, lo stesso Clint Eastwood aveva già raccontato le vicende di un veterano di guerra in “Gunny”, senza dimenticare i due film su Iwo Jima o quel meraviglioso reduce protagonista di uno dei suoi capolavori passati, “Gran Torino”, uno di quei film che ormai il vecchio Clint non solo non riesce più a fare da anni, ma alla cui grandezza neanche ci si avvicina più. “American Sniper” non sarebbe male se non ci facesse vedere (ancora una volta!) le sofferenze della guerra per chi la vive tra le mura di casa, se non ci facesse vedere (ancora una volta!) le difficoltà di coloro i quali, dopo esser stato circondati da sangue e morte, non riescono a tornare alla quotidianità fatta di barbecue e sorrisi con i propri cari. Non sarebbe male se non ci facesse vedere (ancora una volta!) quanto sono patriottici ed eroici i soldati americani in guerra e quanto sono cattivi e sanguinari i loro avversari. In poche parole, non sarebbe male se non fosse un film già visto, zeppo di cliché, su un uomo capace di lasciare moglie e due figli a casa perché deve proteggere il suo Paese dagli arabi terroristi. Personalmente, ne abbiamo abbastanza di “eroi” americani di questo genere.

Chris Kyle è stato il cecchino più letale della storia militare americana. Suo padre gli ha insegnato che nella vita si è prede, cacciatori, oppure si è protettori. Lui sceglie così di proteggere: sia le truppe di terra che con il suo fucile copre come un angelo custode dal cosiddetto “nemico invisibile”, sia più in generale il suo Paese. Ben presto viene soprannominato “Leggenda”, grazie alla sua precisione e alle storie che si vengono a creare intorno a lui. Tanto a suo agio in guerra, quanto poco adatto alla vita quotidiana: i fantasmi dell’Iraq lo tormentano tra una missione e un’altra, nei periodi in cui è a casa con sua moglie, mentre dovrebbe godersi i figli. Proprio qui, tra le mura di casa, dovrà vivere una guerra invisibile contro se stesso e le sue ossessioni.

Se la sceneggiatura, tratta dal romanzo autobiografico dello stesso Chris Kyle, è il punto debole del film, al contrario la regia di Eastwood e il talento di Bradley Cooper e Sienna Miller sono certamente i suoi punti forti. Certo, caricare due ore e passa di film sulle spalle di Cooper, appositamente “gonfiato” per l’occasione, è decisamente troppo anche per un attore totalmente in parte come lui. Clint Eastwood, una volta cecchino infallibile nella scelta delle sceneggiature da realizzare, fallisce nuovamente il colpo per il rilancio e ormai il ricordo del suo ultimo film veramente bello è piuttosto lontano nel tempo.

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