Recensione “I Cavalieri dello Zodiaco: la leggenda del Grande Tempio” (“Saint Seiya: Legend of Sanctuary”, 2014)

Più o meno qualunque ragazzo cresciuto negli anni 80 ricorderà “I cavalieri dello zodiaco” come una delle pietre miliari della sua infanzia. Per questo motivo, da fan incallito, nel momento in cui seppi che la Toei Animation stava realizzando un film in Cgi dedicato proprio alla mia saga preferita (la battaglia con i cavalieri d’oro al Grande Tempio), mi sono trovato a metà strada tra lo scetticismo e l’eccitazione. Senza dubbio era grande la gioia di rivedere i miei idoli di un tempo dopo tanti anni, su grande schermo; d’altra parte però non riuscivo a capire come sarebbe stato possibile racchiudere in un’ora e mezza una storia che nella serie si sviluppava in quasi quaranta episodi. Se il film di Keiichi Sato ha un grande difetto, è proprio questo: non ha il tempo di svilupparsi e si rivela una breve e confusa accozzaglia di battaglie e scontri.

La piccola Isabel viene salvata da un giovane guerriero, Micene di Sagitter, e portata via dal Grande Tempio, luogo mitico dove viene però venerata una falsa dea Atena. In realtà la dea si è reincarnata proprio in Isabel, che sedici anni dopo viene finalmente informata della sua vera identità. Vittima di un attacco, la giovane viene salvata da un giovane cavaliere, Pegasus, e dai suoi tre amici, Sirio, Cristal e Andromeda. Isabel accetta con difficoltà il suo destino e la propria missione, decide quindi di recarsi al Grande Tempio insieme ai suoi cavalieri, per rivelare la sua identità e riportare la pace. Per raggiungere le stanze del Grande Sacerdote i Cavalieri dello Zodiaco dovranno però superare le dodici case, presiedute dai potenti Cavalieri d’Oro, con i quali daranno vita ad una battaglia all’ultimo sangue in nome di Atena.

Se da un lato si può apprezzare il profondo lavoro di regia e di computer grafica, dall’altro però è impossibile non condannare la velocità e la fretta con la quale si risolve ogni conflitto, ogni scena è poco più che accennata e non viene mai risolta in maniera soddisfacente. Del manga di Kurumada è dunque andata persa la poesia, l’epicità, la profondità, l’ambiguità, la bontà e addirittura la malvagità dei personaggi (qui addirittura ridicolizzata in alcune scene, basti pensare al musical improvvisato dal cavaliere di Cancer, che sembra uscito fuori da un film con Jack Sparrow). Addirittura non c’è neanche traccia della meravigliosa colonna sonora dell’anime originale, di cui almeno possiamo però apprezzare, nella versione italiana, le stesse voci dei doppiatori di Pegasus e compagni. Un’operazione che dovrebbe avvicinare nuovi fan alla saga dei Cavalieri? Probabilmente sì, ma le nuovi generazioni impareranno ben poco da questi eroi. Meno male che noi ce li siamo goduti negli anni 90.

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