Il Bang Bang Club è il nome dato dai media ad un gruppo di quattro fotografi impegnati in Sudafrica nel 1994: Greg Marinovich, Kevin Carter, Ken Oosterbroek e Joao Silva. Tutti sudafricani (chi per nascita, chi per residenza), i quattro reporter si sono catapultati al centro degli scontri e delle sparatorie (le “bang bang”, come venivano definite dalla gente del posto) che stavano devastando il loro Paese, documentando con la loro macchina fotografica gli orrori e i massacri della guerra civile. Steven Silver, al suo primo lungometraggio, racconta una pagina sanguinosa della storia sudafricana ponendo al centro dell’attenzione i quattro fotografi, i loro sentimenti e le loro emozioni.
Già nel 1996 i gallesi Manic Street Preachers avevano dedicato una bellissima canzone ad uno dei fotografi del Bang Bang Club, Kevin Carter, vincitore del premio Pulitzer per il fotogiornalismo (così come Greg Marinovich), ma mai il cinema di finzione si era avvicinato in maniera così convinta al mestiere del fotoreporter. Così come in questo mestiere bisogna avvicinarsi il più possibile all’azione per ottenere buoni risultati, così nel cinema è obbligatorio entrare dentro la storia per raccontare chi l’ha vissuta: Marinovich, Carter e i loro compagni si sono costantemente trovati in bilico tra il dovere professionale e le conseguenze morali dei loro scatti, un conflitto interiore che hanno pagato tutti, chi più chi meno, a caro prezzo. Spinti da un’insana attrazione per questo lavoro e dallo sdegno morale per ciò che stava accadendo, i fotografi del Bang Bang Club hanno contribuito con le loro fotografie a convergere l’attenzione mondiale sul Sudafrica, influenzando l’opinione pubblica su un Paese che stava tentando di porre fine alla sua piaga più grande, l’apartheid.