“Breaking Bad” e il lato oscuro dentro di noi

BB_FinalEps

Finalmente, con colpevole ritardo, ho visto “Breaking Bad”. Ora che è finito ho sentito il bisogno di buttare giù alcuni pensieri, per memoria (mia) futura, anche perché immagino sia stata già scritta qualunque cosa, quindi queste righe non aggiungeranno nulla di importante all’oceano di commenti, recensioni e analisi di questa straordinaria serie. Il seguente articolo contiene SPOILER a non finire, quindi se non avete ancora visto “Breaking Bad” fatevi un favore e non proseguite nella lettura, anzi, cominciate a guardarlo, così poi lo leggerete in seguito…

Visto che state continuando a leggere, dò per scontato che sappiate di cosa si parla, quindi evitiamo di raccontare la trama e le cose che tutti sappiamo e passiamo a ciò che ho da dire. Dunque, Walter White e Heisenberg sono lo jin e lo jang dello stesso individuo. Nessuno di noi, nel profondo, è solo “bianco” o solo “nero”, c’è sempre una gamma di grigi che tende da un lato all’altro e dove tutti noi sguazziamo, chi più da un lato, chi più da un altro: Walter White non si trasforma in Heisenberg, lui è nato Heisenberg, ma per cinquant’anni ha represso il lato oscuro dentro di sé, mostrando una debolezza di facciata che le circostanze (ovvero la frustrazione per il succeso della Grey Matter, ma di questo parleremo dopo) hanno reso la sua identità predominante. Lui in qualche modo è per la tv quello che probabilmente Anakin/Darth Vader è stato per il cinema, il protagonista/antagonista perfetto, il genio che mette il suo talento al servizio del male (anche se tra i due comunque corrono differenze abissali).

Io credo che uno dei momenti chiave di “Breaking Bad”, secondo me sottovalutato, è uno scambio di battute tra Walt e un malato di cancro, all’ottava puntata della Quarta stagione: il ragazzo in ospedale afferma che il cancro gli ha fatto cedere il controllo della sua vita (“l’uomo programma e Dio ride”). Walt gli risponde che sono cazzate: “È come una condanna a morte, secondo la maggior parte della gente. Ma, tutto sommato, fin dalla nascita abbiamo una condanna a morte. Quindi a intervalli regolari vengo qui a fare i miei controlli, sapendo bene che una di queste volte, magari anche oggi, mi daranno brutte notizie. Ma finché non accade, la mia vita la dirigo io. Non ne cedo il controllo”. Ecco, secondo me il controllo è una delle parole chiave di tutta la serie: Walter White, il professore di chimica, è qualcuno che ha perso totalmente il controllo della sua vita. Heisenberg al contario è il controllo allo stato puro: controlla e manipola Jesse, controlla con domande curiose il procedere delle indagini di Hank, è talmente meticoloso da poter controllare e soppesare ogni sua azione. Quando uccide i due spacciatori alla fine della Terza stagione, salvando la vita a Jesse, sta in realtà trovando il pretesto per mettersi contro Gus Fring e per giustificare a se stesso il bisogno di ucciderlo: se avesse voluto uccidere Fring durante la terza stagione sarebbe stato solo per il suo ego, per controllare il mercato, per diventare il boss, e la sua coscienza, il Walter White dentro di sé, questo non poteva accettarlo. Ma se salvando la vita a Jesse si è trovato minacciato da Gus, l’uccisione del proprietario di Pollos Hermanos diventa una necessità per proteggere se stesso e la sua famiglia dalla furia del boss: ora aveva davvero un motivo giusto, un motivo “whitianamente corretto” per farlo. Walter così può continuare a raccontarsi la bugia che sta facendo tutto ciò per proteggere la sua famiglia e ritrovarsi con un intero mercato da dover controllare. Una bugia alla quale tutti noi abbiamo creduto, ma di cui al tempo stesso conoscevamo benissimo la natura: Walt/Heisenberg in realtà ha manipolato anche noi. L’ammissione che fa a Skyler durante la magnifica ultima puntata è una liberazione non solo per sua moglie, ma anche per noi: “L’ho fatto per me, mi piaceva farlo ed ero molto bravo… E mi sono sentito.. vivo”. Una scena tra le migliori di tutta la serie, girata in maniera stupenda (a partire dalla macchina da presa che rivela la presenza di Walt dietro una colonna della casa), che chiude perfettamente il cerchio sul rapporto tra Walter e la sua famiglia: dà un vero addio a sua moglie, restituisce Hank a Marie e permette al cognato di avere la sepoltura che merita, rivede per l’ultima volta i suoi figli (le sue ultime carezze alla piccola Holly sono una stretta al cuore). Quindi, come dicevamo in apertura, c’è del malvagio in ogni buono, c’è del buono in ogni malvagio: Walt nel finale chiude i conti con il proprio passato. Non vuole vendicarsi per avere indietro i soldi che i nazisti gli hanno tolto, vuole soltanto togliere di mezzo la feccia e, inizialmente, togliere di mezzo Jesse, che secondo lui sta lavorando proprio con i suoi nemici. Quando scopre che il ragazzo è invece schiavo, ha pietà di lui e lo lascia andare. Il cenno d’intesa tra Walt e Jesse è come un tatuaggio che marchia i ricordi dei fan della serie, perché in quel cenno c’è tutto ciò che abbiamo visto: amicizia, gratitudine, ma anche dispiacere, malinconia. Jesse guida così verso la libertà, mischiando il suo pianto ad un accenno di sorriso, sfogando tutto lo stress accumulato negli ultimi due anni: la morte di Combo, Jane e Andrea, la tossicodipendenza, la rottura definitiva con la famiglia, le umiliazioni, i ricoveri in ospedale, le sparatorie in Messico, la fragilità, la debolezza, la pressione costante di Mister White… tutto finito, è libero di guidare verso una nuova vita (a proposito, quant’è bella nell’ultima puntata l’alternanza tra il flashback in cui costruisce una scatola di legno perfetta e la sua condizione di schiavo che cucina metanfetamine?).

L’ultima puntata è sublime per la sua semplicità: i cattivi muoiono tutti (ci si potrebbero fare magliette con quel grandioso “Goodbye Lydia”), Jesse è libero di sgommare via da tutti i fantasmi che lo attanagliano, Walt paga le conseguenze di ciò che ha fatto, morendo tra gli strumenti che gli hanno restituito il controllo sulla propria vita, sulle note di una canzone malinconica e perfettamente calzante, “Baby Blue” dei Badfinger (finezza totale che, inoltre, rimanda al colore della metanfetamina di Walt), che comincia nel momento in cui il nostro si aggira malinconicamente nel laboratorio: “Guess I got what I deserved”… Il finale chiude dunque perfettamente il cerchio anche su Heisenberg.

Mi sono tenuto per ultimo quello che secondo me è il vero motivo che ha portato, da un punto di vista diegetico, all’esistenza di “Breaking Bad”: non il cancro di Walt, non il bisogno di lasciare denaro alla famiglia. Questi sì, sono tutti motivi validi, che però hanno semplicemente amplificato ciò che Walt aveva represso per tutta la vita: il suo rancore per Elliott e Gretchen, la sua frustrazione per il successo della Grey Matter. Alla sesta puntata dell’ultima stagione Walt spiega a Jesse il valore di quella società che aveva fondato: “2,16 miliardi fino a venerdì scorso. Controllo tutte le settimane. E io ho venduto la mia quota, il mio potenziale, per soli cinquemila dollari”. Ancora la parola “Controllo”. E poi, subito dopo, “Potenziale”. Quando Walt all’inizio dell’ultima puntata si introduce nella villa dei suoi ex-soci, sbattere i suoi milioni di dollari sul loro tavolo è la vittoria del Walter White professore di chimica, così come la sparatoria finale è la vittoria definitiva del genio di Heisenberg: in quel momento, tutti quei soldi sul tavolo, il fatto che Walt dica a Gretchen “Ti dispiacerebbe? Non vorrei che qualcuna andasse persa sotto i mobili”, oppure “voi non dovrete spendere un centesimo dei vostri soldi. Se ci saranno da pagare tasse o parcelle di avvocati li prenderete da qui. Userete i miei soldi, mai i vostri”, è in realtà la rivincita totale di Walter, come se mostrando quella montagna di soldi stesse dicendo: “Ce l’ho fatta anche senza restare nella vostra cazzo di società, stronzi!”. Non è solo il suo modo di far avere il denaro ai figli, è anche la sua rivincita sul passato, su tutto ciò che il suo genio aveva contribuito a creare senza ricevere nulla della bella vita dei due coniugi (e se notate c’è molto più che un pizzico di invidia in quel “mentre passeggerete a Santa Fe, a Manhattan o a Praga o dovunque sia, parlando delle quotazioni delle vostre innumerevoli azioni, senza preoccupazioni al mondo…”). Questa è la perfezione di “Breaking Bad”: la capacità di chiudere in maniera sublime ogni linea narrativa, sia manifesta che latente, associando la splendida regia, le incredibili interpretazioni ad una scrittura assolutamente coerente, coinvolgente e appassionante.

Ci sarebbe da scrivere un articolo a parte sulla morte di Gale Boetticher, che è forse uno dei momenti più alti di tutta la serie in cui il conflitto all’interno dello spettatore raggiunge dimensioni abnormi: sappiamo che la sua morte salverà Walt, eppure per un momento, confusi dalle lacrime di Jesse, pensiamo che tutto ciò non sia giusto, sappiamo perfettamente che Gale non merita questa fine e che Jesse non merita di trasformarsi in un assassino. Ma al tempo stesso vogliamo che tutto ciò accada. Mi rendo conto di aver scritto tanto, e vorrei dilungarmi ancora molto, ma temo di perdere il filo e soprattutto la vostra attenzione. Vorrei parlare di Hank, del personaggio di Skyler (che all’inizio trovavo insopportabile, mentre poi si rivela uno dei caratteri più interessanti di tutta la serie), di Mike, dello straordinario Gus Fring, di Walter Junior, Marie, Badger e Skinny Pete. Sarebbe doveroso fare un discorso a parte su Saul Goodman, forse la linea comica più intelligente mai scritta. Ma forse è proprio questo il grande valore di “Breaking Bad”: abbiamo a cuore la sorte di tutti i personaggi. Ci interessa di tutti, davvero di tutti, vorremmo addirittura sapere se Huell è ancora dentro quella casa, vorremmo assistere al funerale di Hank e ovviamente sapere cosa succederà a Jesse. Insomma, ci sarebbe ancora molto da dire, ma forse ho già detto troppo, e dopo aver visto “Breaking Bad” ci si ritrova allo stesso tempo affascinati e impotenti, come nella poesia dell’astronomo erudito di Whitman: “Quando ascoltai l’astronomo erudito, quando le prove e i numeri furono messi in colonna dinanzi a me, quando le carte e i diagrammi mi furono mostrati per aggiungerli, dividerli e misurarli, quando, seduto, udii l’astronomo e la sua conferenza tra gli applausi della sala, quanto presto, inspiegabilmente divenni stanco e sofferente, finché, scivolando via, non mi misi a vagare da solo, nella misteriosa e umida aria notturna e, di tanto in tanto, levai lo sguardo nel perfetto silenzio verso le stelle“.

Breaking-Bad

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Un commento Aggiungi il tuo

  1. robyus84 ha detto:

    Bellissimo post, complimenti davvero per gli spunti e le considerazioni su questa serie impareggiabile. Ti invito a leggere cosa scrissi tempo fa nel mio blog a poche settimane dall’ultimo episodio della quinta stagione. Saluti 🙂

    "Mi piace"

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