Recensione “Brooklyn” (2015)

Quando la sceneggiatura è firmata da un certo Nick Hornby non ci si può aspettare di certo qualcosa di banale. Brooklyn non è solo un distretto di New York, è un mondo a parte (che se fosse una città autonoma sarebbe attualmente la quarta città più grande degli Stati Uniti, per dire). Brooklyn è quel luogo dove non ci sono i grattacieli, ma le casette basse, è l’agglomerato urbano dove hanno proliferato per lo più italiani e irlandesi, dove c’è la spiaggia di Coney Island (a New York il luogo estivo per eccellenza). Brooklyn, negli anni 50, poteva essere la Terra Promessa per i giovani immigrati europei e, soprattutto, poteva diventare la casa dove cominciare una nuova vita.

Per la giovane e inesperta Eilis Brooklyn è il futuro, è dove c’è il corpo, ma non la testa, ancora legata alla sua contea irlandese, a sua madre e soprattutto alla sua inseparabile sorella. Eilis, nonostante i pensieri la spingano continuamente verso la natia Irlanda,  riesce comunque a costruirsi il suo habitat statunitense: ha un lavoro, frequenta un corso serale all’università, è innamorata di un adorabile ragazzo italiano. Un evento inaspettato però riporterà la ragazza in Irlanda, dove dovrà finalmente capire quale vita vuole vivere.

Il terzo film dell’irlandese John Crowley è una sorta di diesel: impiega una buona mezzora prima di ingranare, ma quando parte è capace di creare suspense per tutto il resto del film. Praticamente si assiste al ritorno in Irlanda di Eilis in un costante stato di tensione ansiosa, dove il succedersi dei fatti avrà un esito non facile da capire. Merito anche della brava Saoirse Ronan, ormai cresciuta dai tempi di “Espiazione”, finalmente in grado di sostenere un film sulle sue spalle, sulla sua sottrazione, sulle piccole sfumature del suo viso. Con il cuore a metà tra la sua Irlanda e quella Brooklyn del titolo che aspetta di diventare la “sua” Brooklyn o che forse invece potrebbe trasformarsi in un tiepido ricordo…

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