Ieri, rivedendo il “Blade Runner” di Ridley Scott, mi sono sentito un po’ vecchio nel realizzare che tra due anni vivremo nel presente di quel film, un presente che per fortuna non sarà composto da piogge incessanti dovute all’inquinamento (mmm…) e da repliche quasi perfette degli esseri umani da utilizzare come schiavi. Tuttavia la decadenza di quella Los Angeles, con i suoi neon e la sua folla di solitudini, ha regalato a tutti noi e alla storia del cinema una sorta di film anni ’50 ambientato nel 2019: un noir futuristico con un protagonista solitario e tormentato, una femme fatale inconsapevole di esserlo, un antagonista tragico e meraviglioso, oltre che imbattibile (se non dal “maledetto tempo”). A trent’anni da oggi, nel 2047, mancheranno due anni al presente di questo nuovo “Blade Runner” di Villeneuve: cosa avremo? Forse macchine volanti, ologrammi di Elvis Presley in concerto (beh, a dire la verità questo lo stanno già facendo adesso con Frank Zappa…) e un ecosistema ancor più danneggiato rispetto ad oggi. E cosa resterà di questo film? Senza dubbio lo straordinario appeal visivo, prima di tutto (date un Oscar a Roger Deakins, per favore!), un altro protagonista tormentato, una filosofia affascinante sul concetto di anima, desiderio e, a tratti, di libertà. Il film però è freddo: le sue emozioni sembrano artificiali come la tecnologia di cui è pieno, il suo racconto arzigogolato e le sue scene d’azione scevre di quel pathos che avvolgeva ogni singola sequenza del capolavoro di Ridley Scott.
La Tyrell Corporation è stata rilevata da un certo Wallace, a capo di una società che produce una nuova linea di replicanti totalmente servili ed obbedienti. l’agente K della Blade Runner, anche lui un replicante, deve eliminare l’ultima generazione prodotta dalla Tyrell, una serie di replicanti ormai bandita da decenni ma che ancora resiste al passare del tempo. Durante un’azione trova una cassa con delle ossa e da un’analisi di laboratorio risulta che lo scheletro appartiene ad una replicante. La cosa più sconcertante è che la donna aveva partorito un figlio: una scoperta rivoluzionaria che, se dovesse uscire fuori, potrebbe sconvolgere gli equilibri del mondo.
Un film di Denis Villeneuve merita sempre la visione e mai come in questo caso merita lo schermo cinematografico: se già in “Sicario” il regista canadese aveva preferito l’estetica visiva ad una sceneggiatura impeccabile, in “Blade Runner 2049” l’impatto visivo è talmente strabiliante da non aver quasi bisogno di una storia egualmente coinvolgente, ed è un peccato. Il film parte bene, lascia a bocca aperta per le sue trovate tecnologiche e scenografiche (la produzione di ricordi da innestare è uno dei momenti più emozionanti) ma lentamente si affloscia su se stesso, si specchia nelle sue immagini e sembra perdere forza con il passare dei minuti. Un’opera futuristica e visionaria da ammirare come una prodezza artistica, ma che nel suo prodigio visivo dimentica una componente di cui anche i replicanti si sono ormai impadroniti: le emozioni.
Ciao! A me ha annoiato grosso modo quasi fin dall’inizio…..Non si capisce un granché, le indagini come vengono svolte non ci ho capito quasi nulla, Jared Leto non ho capito chi è e cosa faccia….2 ore e mezza di nulla per quanto mi riguarda….
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