Recensione “Roubaix, Une Lumière” (2019)

Il cinema francese vanta una straordinaria tradizione con il genere poliziesco, a tal punto da dar vita ad un filone tutto suo, il cosidetto polar, che prende nome dalla crasi tra il poliziesco e il noir. Il nuovo film di Arnaud Desplechin comincia come noir – le luci della notte, il commissario solitario, la voce fuori campo – per poi sfociare in un poliziesco – interrogatori, ricostruzioni della scena del crimine – che indaga sulla fragilità e la debolezza del male. Presentato in Selezione Ufficiale a Cannes nel 2019, arriva ora in Italia distribuito da No.Mad Entertainment.

La notte di Natale il commissario Daoud, affiancato dal novellino Louis, deve indagare sull’omicidio di un’anziana signora. I loro sospetti cadono ben presto sulle vicine di casa della vittima, due ragazze indigenti e alcolizzate, che sembrano sapere più di quanto vogliano far credere.

Desplechin prende spunto da un documentario del 2008 incentrato su un caso di cronaca nera avvenuto a Roubaix e realizza un film intimo, in cui al centro della scena ci sono i sentimenti dei protagonisti, raccontati però in maniera elegante, umana, spesso generati da persone insicure e tormentate. A incorniciare il tutto c’è appunto Roubaix, cittadina francese a un passo da Lille e a due passi dal Belgio, celebre come punto d’arrivo della classica corsa ciclistica: dimenticate però l’allegria degli Ch’tis di Giù al Nord, perché stavolta il Nord sarà un luogo di profondo dolore, di povertà, di tormento. Da vedere.


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