Recensione “Il Ragazzo e l’Airone” (2023)

Immaginate di essere un autore ottantenne, di aver realizzato un magnifico film come conclusione di un’ancor più straordinaria carriera e pensare di non avere più niente da dire. Poi però, ora che non lavorate più, cominciate a pensare, a riflettere sulla mortalità, sulla fine e soprattutto sul mondo che sperate di lasciare. Ed è così che tornate al lavoro su un nuovo film, un viaggio in un fantastico universo parallelo, attraverso lo spazio e il tempo, in cui dare libero sfogo alle vostre fantasie, le vostre riflessioni, le emozioni. Il miracolo di Miyazaki è quello di farti sentire parte di un mondo molto più bello e pieno di calore umano rispetto a quello che viviamo ogni giorno. La bruttezza del nostro mondo non rende meno validi i nostri sogni: Bisogna tentare di vivere, ci diceva Miyazaki nel suo penultimo lavoro, prima di mettersi all’opera su questo nuovo film, dal titolo provvisorio How do you live?, che sembra legarsi perfettamente al verso di Paul Valery di cui si impregnava appunto il film precedente.

Il dodicenne Mahito, dopo la morte della madre in un incendio, fatica ad ambientarsi nella nuova città in cui si è trasferito con il padre e sua zia, diventata la nuova moglie di lui (e matrigna del ragazzo), finché un bizzarro airone parlante lo informa che sua madre è ancora viva. Mahito è diffidente, confuso da una notizia così incredibile e inizialmente restio a dare credito all’inquietante airone. Nel frattempo sparisce nel nulla anche la matrigna, incinta, che spinge definitivamente il ragazzo a mettersi sulle sue tracce, sia per ritrovare questa dolcissima donna, sia per verificare le parole su sua madre. Mahito finisce così in una nuova “città incantata”, piena di insidie, di pericoli, di mostriciattoli, ma anche piena di alleati, che lo aiuteranno nell’impresa, come nella migliore tradizione dell’universo di Miyazaki.

Miyazaki, come dicevamo, sembra interrogarsi sul mondo che, presto o tardi, lascerà ai posteri. La magia de La Città Incantata si percepisce a tratti, così come la malinconia di Si Alza il Vento o lo splendore de Il Castello Errante di Howl, ma è comunque emozionante – o straziante – vedere un essere eterno come Hayao Miyazaki scendere a patti con la propria mortalità, accettarla, con il timore di un mondo futuro non del tutto all’altezza dei suoi desideri. Un’avventura tra spazio e tempo, con porte che danno su mondi paralleli, personaggi fantastici e sogni senza età: i viaggi nei mondi di Miyazaki ballano sempre sull’equilibrio, precario, tra i sogni che tengono insieme il nostro mondo e la fredda violenza che minaccia sempre di spezzarlo. Costruisci la tua torre, afferma un personaggio nella bellissima sequenza finale ed è ciò che Miyazaki vuole suggerire a tutti noi: in un mondo che cade letteralmente a pezzi sotto continue guerre, dolore e distruzione, dobbiamo dare il nostro contributo di umanità e bellezza. Dobbiamo crearci ognuno il nostro angolo di felicità, in modo tale che, mettendoli tutti insieme, potremo battere l’oscurità del mondo con la nostra luce. E non c’è insegnamento più bello da parte di un maestro giunto al termine della sua incredibile carriera: i suoi film sono gli strumenti, quasi una guida, il grosso del lavoro però dobbiamo mettercelo noi. Costruiamola questa torre.


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