Recensione “Furiosa” (2024)

Anya Taylor-Joy in Furiosa di George Miller

Cinque capitoli per raccontare una vendetta lunga quasi due decenni. George Miller torna sulla Fury Road che aveva magnificamente percorso nove anni fa e ritrova il caos orgiastico del film precedente, nel quale cerca inevitabilmente di inserire una trama (leggasi pretesto) più narrativa, con ritmi a tratti più compassati. Il risultato è che Furiosa funziona molto meglio quando cerca di imitare Mad Max Fury Road rispetto ai capitoli in cui vive di vita propria. Pur vero però che quando si splende del riflesso di qualcosa di molto vicino al capolavoro, la luce che arriva è comunque accecante, viva, luminosa, ma si tratta ad ogni modo di un film meno intenso, meno potente, meno incredibile del precedente (di cui questo è ovviamente un prequel).

Furiosa, a conti fatti, è una sorta di favola post-apocalittica: è la storia di una bambina rapita, che vorrebbe ritrovare la via di casa, ma la strada è lastricata di lupi cattivi e malintenzionati di ogni genere. Crescere con una speranza, in un mondo che di speranze ne lascia poche, non è poco, se a questo si aggiunge l’odio e la sete di vendetta, ecco che George Miller ha il materiale giusto per ritrovare quell’immaginario da lui stesso creato, quella tavola di gialli e di blu che fanno pensare solo a una cosa: la saga di Mad Max. Nessuno sperava che Furiosa potesse raggiungere le vette del film precedente, infatti non ci riesce, ma il cinema di George Miller è sempre bello da vedere, perché questo (quasi) 80enne può, ancora una volta, far vedere a tutti cosa significhi “fare cinema”.

Locandina Furiosa di George Miller

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