ORIZZONTI DI GLORIA: LA POLEMICA ANTIMILITARISTA
Nel 1957 Kubrick realizza Orizzonti di gloria, tornando così ad occuparsi del tema della guerra dopo averlo trattato, come abbiamo visto, nel suo film d’esordio Fear and desire.
Un titolo come Orizzonti di gloria richiama immediatamente uno spirito epico, quasi a far intendere che si tratti di un film eroico, ma in realtà è un titolo sarcastico: Paths of glory (il titolo originale della pellicola) infatti, non è altro che l’inizio di un verso tratto dalla settecentesca Elegia scritta in un cimitero campestre di Thomas Gray: «Paths of glory lead but the grave» (“i sentieri di gloria non conducono che alla tomba”). Allo stesso modo appare ironica anche la Marsigliese che apre il film, l’inno della libertà tradotto in introduzione all’oppressione: siamo nel 1916, sulle note dell’inno francese una macchina porta il generale Mireau a colloquio con il generale Broulard. Quest’ultimo persuade il primo, promettendogli un avanzamento di carriera, a sferrare un attacco contro il “Formicaio”, una postazione strategica tedesca. Nonostante l’attacco sia prevedibilmente suicida, Mireau accetta l’incarico, accecato dall’ambizione. Egli si reca quindi nella trincea francese per ispezionare i soldati e impartire l’ordine al capo del reggimento, il colonnello Dax. Nonostante le sensate rimostranze che questi mostra di fronte all’impossibilità della missione e all’alto numero di vittime pronosticato dal generale, Dax deve comunque accettare l’incarico, dal momento che, in ogni modo, i suoi uomini verranno utilizzati per l’attacco. Come previsto la missione si rivela suicida e alcuni soldati, bloccati dalla pioggia di fuoco nemico, non riescono neanche ad uscire dalle trincee. Mireau cerca di far uscire i battaglioni dalle loro postazioni ordinando, inutilmente, di aprire il fuoco contro di essi. L’attacco fallisce e il generale, non potendo far giustiziare tutta la truppa, suggerisce a Broulard di far fucilare almeno un soldato di ognuno dei tre reggimenti come esempio per tutti gli altri. Dax si oppone e ottiene di fare da avvocato difensore dei tre soldati scelti come capri espiatori: Paris (vittima della coscienza sporca del suo superiore Roget), Ferol (scelto perché “socialmente indesiderabile”) e Arnaud (tirato a sorte). I tre vengono condannati a morte per codardia, e nonostante i tentativi fatti da Dax per salvarli, vengono fucilati. Nel finale, in un’osteria, i soldati sopravvissuti si commuovono davanti al canto di una ragazza tedesca; per loro sono gli ultimi istanti di svago, prima della nuova partenza per il fronte.
Pur trattandosi di un film di guerra, peraltro accostato a pellicole antimilitariste come All’Ovest niente di nuovo (Milestone, 1930) o al francese La grande illusione (Renoir, 1937), ciò che più colpisce ad una prima visione di Orizzonti di gloria è la totale assenza del nemico: il fantomatico Formicaio è spesso nominato, ma di fatto lo vediamo solo da lontano, apparentemente privo di vita; nessuna inquadratura ci mostra un solo soldato tedesco, di essi sentiamo soltanto il fuoco scagliato contro i soldati francesi durante l’attacco. L’unico “nemico” che ci viene mostrato è la ragazza tedesca che compare nel finale (interpretata da Christiane Harlan, futura moglie del regista), una sorta di “preda bellica” inizialmente da umiliare e schernire, con la quale però poi i soldati francesi condivideranno le lacrime. Una scena che Marcello Walter Bruno interpreta come una sorta di «vittoria morale dello sconfitto, che si rivela marxisticamente fratello nello sfruttamento». Questo finale quindi rappresenta una «fraternizzazione sempre possibile, perché siamo uomini soprattutto per la facoltà che abbiamo di uscire da noi stessi per cercarci, ritrovarci e riconoscerci negli altri».
Il nemico tedesco non compare di fatto in nessuna inquadratura, di conseguenza il nemico è interno: è il tenente francese Roget che, ubriaco e impaurito, uccide con una bomba a mano il soldato Lejeune con il quale era di pattuglia insieme a Paris; il generale Mireau che durante l’attacco ordina all’artiglieria di sparare contro i soldati francesi per farli uscire dalle trincee, fino al plotone di esecuzione che fucila i proprio commilitoni condannati per vigliaccheria. È ancora il tema dell’uomo contro se stesso che torna in modo secco e diretto nell’opera di Kubrick, il quale non risparmia tutto il suo astio verso l’istituzione militare: essa vuole basarsi sui valori astratti di Patria, ma usando il colonnello Dax come suo “portavoce”, il regista afferma che «il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie» (citando una massima di Samuel Johnson). L’istituzione militare per Kubrick «si rivela un meccanismo disumano fondato sul potere che un’élite ha di ordinare a grandi masse di persone sia di uccidere che di essere uccise», un modo di vedere riassumibile in un noto aforisma: «la guerra è il massacro di persone che non si conoscono, per conto di persone che si conoscono ma non si massacrano». Il regista fornisce ulteriore conferma del suo punto di vista nella sequenza in cui Dax va a trovare Broulard per convincerlo ad annullare l’esecuzione; il generale spiega che non può farlo per la questione del morale delle truppe: «Questa fucilazione sarà un tonico per tutta la divisione. Ci sono poche cose più incoraggianti e stimolanti di veder morire gli altri. Colonnello, i soldati son come bambini, per i bambini ci vogliono padri energici e per i soldati la disciplina, e un modo per mantenere la disciplina è fucilare un uomo ogni tanto».
La polemica antimilitarista di Kubrick è quindi nella trasformazione del nemico di guerra in un nemico situato all’interno stesso della struttura militare e chi la comanda, ma, nel contesto del film, questa polemica va ad inserirsi all’interno di una riflessione più ampia: come in tutti i suoi film, l’intenzione di Kubrick è quella di esprimere tematiche riscontrabili universalmente in ogni genere, e non solo in questo caso nel film di guerra; in tal senso il problema centrale del film non è più l’attacco all’istituzione militare, ma il rapporto tra individuo e società: «la microstruttura sociale dell’esercito diviene in questo modo paradigma dell’intera macrostruttura sociale, (…) con una rigida divisione in gradi che corrispondono alle divisioni sociali in classi». Uno dei tratti maggiormente sottolineati dal regista è l’autoreferenzialità della struttura sociale, ovvero la tendenza di quest’ultima a rendersi indipendente, dotata di una propria logica e di proprie regole, una struttura autonoma da ogni cosa, con i propri riti e un proprio linguaggio. Questo, nella struttura militare, è ricco di termini retorici, patriottici, paternalistici, dove il significato delle parole si piega a nuovi scopi e intenti: ad esempio il generale Broulard chiama «figliolo» Dax con il fine, non raggiunto, di accattivarsi le sue simpatie; Mireau durante l’ispezione in trincea consiglia ad un soldato di curare la manutenzione del suo fucile («È il tuo migliore amico; abbi cura di lui, e lui avrà sempre cura di te»), cercando di stimolare la combattività dell’uomo, o ancora Dax che fa presente a Mireau di aver definito il Formicaio «abbordabile», come se stesse parlando di una donna di facili costumi. Ma l’autoreferenzialità della struttura appare in modo evidente nella «logica del potere che rende gli uomini non soggetti pensanti, ma oggetti pensati. Una reificazione che riduce i soldati anonimi combattenti, insetti all’assalto di un “Formicaio”». Si tratta di «una logica implacabile, una logica del calcolo e della convenienza che non lascia spazio alcuno alle ragioni della coscienza e che, in particolare, annulla il valore intrinseco della vita umana». Le vite dei soldati (quindi la classe sociale più bassa) diventano così oggetto di scambio (Mireau accetta la missione suicida pur di ottenere la promozione), di contrattazione (seduti a tavolino Mireau e Broulard decidono il numero di soldati da processare e fucilare) e soprattutto di freddo calcolo, attraverso il folle discorso di Mireau a Dax, quando il generale illustra al colonnello il numero di perdite previste durante l’attacco: «Diciamo 5% uccisi dal loro stesso sbarramento, una concessione molto generosa. Un altro 10% nell’attraversare la terra di nessuno, e un 20% nel passare i reticolati. Resta un 65%, con la parte peggiore superata. Diciamo un altro 25% nella conquista vera e propria del Formicaio. Ci restano ancora forze più che sufficienti per tenerlo».
A proposito della ritualità e della rappresentatività della struttura militare (o sociale), il film propone una ripetizione di atteggiamenti, ruoli e rituali in cui nessun elemento della struttura può venir meno: «la macchina rappresentativa deve avere la meglio sull’individuo e sulla sua “naturalità”; gli istinti di sopravvivenza dell’individuo vengono rinnegati, cancellati, rimossi, censurati e deformati di fronte alle esigenze della messa in scena bellica dell’eroismo». Ed è questo che fa Mirau, ad esempio durante l’ispezione alle trincee, quando rimprovera a un soldato in preda a shock da bombardamento che questo «non esiste», oppure nella scena del processo, dove il pubblico ministero interrompe con disprezzo la testimonianza di uno degli imputati, dicendogli che la corte non è interessata a ciò che egli ha visto, ma solo a ciò che lui ha fatto (in questo caso il soldato si stava difendendo affermando di essersi ritirato quando ha visto tornare indietro i suoi compagni di reparto). Un altro esempio è nel rituale dell’esecuzione, dove i soldati vengono invitati a nascondere la loro angoscia e la loro disperazione («Ci saranno giornalisti e personalità là fuori. Tu hai moglie e famiglia, come vuoi essere ricordato?»). Tutto questo prende la forma di un macabro spettacolo per la classe alta, i generali, che seduti a colazione non possono fare a meno di commentare con soddisfazione l’esito dello show che hanno preteso: «Questo genere di cose è sempre opprimente, però questa aveva un certo suo splendore, (…) sono morti meravigliosamente». Secondo Bruno: «l’ipotesi di Kubrick è che il soldato semplice non desidera essere ucciso e, quando combatte, lo fa perché costretto dall’istituzione totale; mentre l’ufficiale è trascinato da un immaginario in cui Eros e Thanatos si confondono fino a sovrapporsi».
Orizzonti di gloria presenta un netto contrasto tra l’eroe principale, il colonnello Dax, e il contesto nel quale è costretto ad agire. Dax rappresenta il difensore della giustizia e dell’umanità ed il suo punto di vista è anche quello di Stanley Kubrick; il regista sembra a tratti “usare” il personaggio per lanciare le sue accuse verso la società, in particolare è eloquente la frase con la quale Dax apre il suo monologo difensivo alla fine del processo: «Vi sono occasioni in cui mi vergogno di appartenere al genere umano, e questa è una di quelle». Il film mostra tutta l’impotenza di un personaggio “normale” all’interno di un contesto assurdo, che cerca infine di inglobarlo nella sua struttura: ciò è evidente nel finale del film, quando Broulard, dopo essersi liberato di Mireau, propone a Dax il posto del generale, convinto che questo fosse il vero obiettivo della crociata difensiva del colonnello. Dax, indignato per aver visto equivocare le sue giuste intenzioni, rifiuta duramente («Vuole che le dica brutalmente cosa può farci con quella promozione?»), cosa che sorprende sinceramente Broulard, totalmente assuefatto al sistema: «Colonnello Dax, lei è una delusione per me. Lei ha rovinato l’acume della sua mente sguazzando nel sentimentalismo. Lei voleva salvare quegli uomini? E non aspirava al comando di Mireau? Lei è un idealista e la compiango come un minorato». L’attacco di Kubrick al sistema militare emerge ancora dall’identificazione del regista con il protagonista della pellicola, lo vediamo attraverso lo sfogo di Dax al generale Broulard nella scena medesima: «Le chiedo scusa, Signore, per non averle detto prima che lei è un vecchio, sadico e degenerato, e può andare al diavolo!».
Il lavoro fatto dal regista in fase di sceneggiatura, a proposito della caratterizzazione del personaggio principale, viene fuori attraverso un confronto con il romanzo omonimo di Humphrey Cobb dal quale è stato tratto il film: qui infatti non è il colonnello a difendere i tre soldati al processo, né a cercare di salvarli davanti a Broulard. Oltre che per ragioni “divistiche” (la star Kirk Douglas, produttore del film, mai avrebbe permesso che il suo personaggio avesse un ruolo non da protagonista assoluto) «Kubrick rimodella il carattere dei personaggi dando maggiore estensione al lato giudiziario della vicenda, in modo da mostrare la logica perversa e le tragiche meschinità della vita militare».
Come abbiamo visto, in Orizzonti di gloria i generali e i soldati si muovono in universi fisici e mentali antitetici; a proposito di questo Alonge ci fa notare un particolare molto interessante, ovvero come la contrapposizione tra queste due fazioni sia inscritta graficamente nella scenografia della sala dove si svolge il processo: «il pavimento presenta una griglia di quadrati bianchi e neri, analoga a una scacchiera, la cui geometria è però rotta da un grande cerchio nero, all’interno del quale siede uno degli imputati (…). Il décor della sala dove si esplicita lo scontro tra i generali e i soldati esprime fisicamente l’opposizione tra due concezioni diametralmente opposte della guerra: da un lato l’idea – del tutto teorica – della battaglia come partita a scacchi, come attività pienamente razionale, dall’altro l’esperienza vissuta dai combattenti, in base alla quale lo spazio-tempo della battaglia è un “buco nero”, un flusso ininterrotto di orrore che non è né misurabile né controllabile».
A proposito del paragone tra la guerra e gli scacchi, un motivo già incontrato in Fear and desire, anche Orizzonti di gloria presenta affascinanti elementi di paragone tra le vicende del film e il gioco. Come abbiamo visto poc’anzi, il pavimento della sala dove si svolge il processo sembra un’enorme scacchiera e questo motivo avvolge simbolicamente tutto il film, in quanto il generale è pronto a sacrificare i suoi soldati-pedoni pur di raggiungere il suo scopo: Mireau quando impartisce l’ordine a Dax ragiona esattamente come un giocatore di scacchi («Metà dei suoi uomini periranno ma avranno permesso all’altra metà di prendere il Formicaio»). Un richiamo si può fare anche a proposito della struttura labirintica della trincea, laddove il percorso interno obbligato può essere accostato al percorso dei pezzi degli scacchi, dei pedoni in particolare. Inoltre «alla fine del film si scopre che i francesi hanno catturato la “regina” avversaria: magra consolazione, poiché la regina non ha per nulla il valore del re, e dunque la partita continua, con i suoi massacri».
Marcello Walter Bruno riporta un’altra suggestiva interpretazione di Orizzonti di gloria, secondo cui la presenza di un processo truccato al centro del film è un chiaro riferimento ai processi falsati tenuti dall’HUAC (la commissione per le attività antiamericane) negli anni‘50 del senatore anticomunista McCarthy, con un conseguente richiamo alla “caccia alle streghe” ancora in atto nel periodo in cui fu realizzato il film.
Un elemento curioso di Orizzonti di gloria riguarda alcuni nomi che il regista ha scelto per i personaggi: il narcisismo di Mireau è sottolineato dall’assonanza con la parola francese miroir (“specchio”), Broulard ricorda il termine brouillard (“nebbia”), il comandante di batteria che si oppone all’ordine del generale di far fuoco contro le truppe rintanate nelle trincee si chiama Rousseau, come il filosofo («a simboleggiare una ragione settecentesca che tenta di opporsi all’irrazionalismo bellicista del XX secolo») e infine il capo di uno dei reggimenti si chiama Renoir, evidente omaggio al regista de La grande illusione.
Orizzonti di gloria, come quasi tutti gli altri film di Kubrick, ha l’aria di essere un film intellettuale, cosa che si denota in modo particolare dalle scelte stilistiche del regista. Lo stesso Kubrick in un’intervista già citata in precedenza affermò a proposito: «Non posso riassumere verbalmente in modo preciso il significato filosofico di un film, ad esempio, Orizzonti di gloria. Il suo scopo è coinvolgere il pubblico in un’esperienza. I film hanno a che fare con le emozioni e riflettono la frammentarietà delle esperienze. Quindi è fuorviante cercare di riassumerne verbalmente il significato». Tuttavia, nonostante la tendenza di Kubrick a prendere le distanze da ogni richiesta di spiegare o definire un suo film, all’interno di questa pellicola il messaggio portato avanti dal cineasta americano è così diretto e lampante che appare difficile non poter catalogare Orizzonti di gloria come un film di guerra antimilitarista (la cui proiezione fu però censurata in Francia per più di quindici anni). Un film splendido dal punto di vista tecnico e tematico e sarebbe doveroso per questo ringraziare l’attore-produttore Kirk Douglas, quando a suo tempo si convinse a realizzarlo, dicendo a Kubrick: «Stanley, non credo che questo film potrà mai guadagnare un soldo, ma noi dobbiamo farlo».
complimenti!
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