Il critico cinematografico ieri, oggi, domani (parte 2 di 9)

IL MARCHIO DELLA CRITICA GIORNALISTICA: LA RECENSIONE
La tipologia di scrittura più diffusa nella critica giornalistica è la recensione, vero e proprio marchio di fabbrica di ogni critico cinematografico. La parola recensione deriva dal latino “recenso”: riflettere. Ed è proprio attraverso la recensione che il critico cinematografico riflette se stesso all’interno di un film, offrendo gli strumenti per avvicinarsi all’opera in modo più consapevole, presentando possibili chiavi interpretative, sottolineando le peculiarità stilistiche e contestualizzando il film all’interno del suo genere di riferimento e della filmografia dell’autore: «la recensione di un film è un (piccolo) genere letterario come tanti altri e ha le sue regole. Devi impararle per poterle trasgredire».

La recensione di un film è rivolta ai potenziali spettatori e di conseguenza la sua funzione primaria deve essere quella di aiutarli a decidere se guardare un film o no, fornendo indicazioni sul contenuto e sulla qualità del film stesso. La recensione è la pratica di scrittura più diffusa tra i critici cinematografici e senza dubbio la più vasta a livello quantitativo, si tratta di una tipologia di scrittura di tradizione giornalistica piuttosto stabile nella sua articolazione interna: una recensione classica è spesso costituita da elementi informativi (trama del film, senza però svelarne il finale), elementi interpretativi (analisi delle tematiche trattate) ed elementi valutativi (giudizio su uno o più elementi del film recensito più una valutazione complessiva).

La forma-recensione «occupa un livello intermedio tra le forme alte del discorso sul cinema e quelle più “basse”. Essa non appartiene al registro accademico delle analisi dettagliate, della storia e della teoria del cinema, ma si distingue anche dalla tradizione delle cronache dai festival, degli articoli promozionali». Bisogna sottolineare che l’efficacia di una recensione è tanto maggiore quanto più il film è “anonimo” e non ha una solida base di appassionati. Film di genere, film in qualche modo tratti da opere precedenti (sequel, remake, adattamenti) o film di registi e attori particolarmente noti non hanno bisogno di una risposta positiva da parte della critica cinematografica per raggiungere il proprio pubblico. Al contrario, un film che esprime e rappresenta una cinematografia poco nota, diretto da un regista agli esordi, senza divi nel cast o con un tema particolarmente sottile, necessita del supporto della critica per trovare un pubblico che sia interessato: in questo caso, il giudizio del critico può davvero fare le fortune di un film. A tal proposito, tornando a Truffaut, vediamo come egli sottolineava che «l’apparato finanziario e pubblicitario del cinema e il prestigio dei divi sono tali che la critica, anche se unanimemente sfavorevole, non potrebbe mai arrestare la marcia verso il successo di un brutto film dal grosso budget. La critica è efficace solo nei confronti dei filmetti ambiziosi ma privi di grossi divi». Portando la questione ai giorni nostri, possiamo citare il caso di un film come Slumdog Millionaire (2008) di Danny Boyle, recente trionfatore ai premi Oscar. Il film del regista britannico era uscito inizialmente negli Stati Uniti in sole 10 copie, riuscendo però ad imporsi ai box-office grazie alle entusiastiche recensioni dei critici statunitensi: ad esempio il seguitissimo Roger Ebert, critico del «Chicago Sun-Times», l’ha definito «a breathless, exciting story, heartbreaking and exhilarating at the same time», mentre il Wall Street Journal, per citarne uno tra i tanti, ne ha parlato come «the world’s first globalized masterpiece». Dalla sua timida uscita fino alla conquista di 8 premi Oscar il passo è stato breve, grazie anche ai critici cinematografici. Il potere della recensione dunque, in certi casi, può davvero contribuire a scrivere la storia del cinema.

pubblicato su Livecity

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