Il critico cinematografico ieri, oggi, domani (parte 1 di 9)

COS’È UN CRITICO CINEMATOGRAFICO?

C’è chi nasce medico, architetto, avvocato, pittore, musicista. Tutti certamente nascono spettatori, ma nessuno nasce critico. La strada del critico cinematografico è un percorso che coniuga la passione per il cinema alla passione per la scrittura, un mestiere talvolta bistrattato, spesso invidiato, i cui panni tutti, spesso inconsapevolmente, hanno però indossato: quante volte ci siamo ritrovati in una discussione tra amici a parlare di questo o quel film? Per non parlare di tutte le occasioni in cui abbiamo esaltato un attore o una particolare scena di fronte ai nostri interlocutori. François Truffaut sosteneva che tutti hanno due mestieri: il proprio e quello di critico cinematografico. Questa figura, ai minimi termini, non fa altro che sottolineare gli elementi e le caratteristiche di un film secondo il proprio gusto personale: «Il critico è considerato nello stereotipo comune un individuo che al rigore della preparazione, alla motivazione del giudizio giunge per via di una capacità del tutto personale di esprimere il proprio gusto».

Un vecchio detto recita: «chi sa fare fa, chi non sa fare critica». In tal senso chi fa il cinema non ama molto chi ne fa la critica. Groucho Marx, a questo proposito, racconta un divertente aneddoto a proposito del mestiere del critico cinematografico: «Ricordo il giorno in cui mio figlio Arthur, che allora aveva sette anni, rifiutò di guardare il nostro primo film di successo, The Cocoanuts, perché non c’erano sparatorie. La cosa mi depresse, non tanto perché non gli era piaciuto il film, quanto perché temevo che da grande avrebbe fatto il critico». Anche Woody Allen, nel suo film Stardust Memories (1980), si prende gioco delle analisi talvolta forzate dei critici, attraverso un memorabile scambio di battute all’uscita di una sala cinematografica: «Quale pensi che fosse il significato della Rolls Royce?», domanda uno dei personaggi a proposito del film appena visto, «Io credo che rappresenti la sua macchina», la risposta secca del protagonista.

Tutti gli spettatori si sono improvvisati critici almeno una volta nella vita, ma la differenza tra lo spettatore e il critico cinematografico sta nelle competenze e nelle conoscenze acquisite da quest’ultimo durante il proprio percorso, una differenza che si può spiegare bene attraverso una rilettura in chiave cinematografica del mito della caverna di Platone. Come racconta il Socrate di Platone al suo discepolo Glaucone: «Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sì da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo». In queste parole sembra che il filosofo descriva la futura sala cinematografica, un paragone ancor più calzante se si pensa alle ombre che scorrono sul muro della caverna: «Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco (…). Pensa di vedere costruito un muricciolo (…). Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine (…). Credi che tali persone possano vedere altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parte della caverna che sta loro di fronte?». Per le persone (gli spettatori), la verità (il film) non è altro che le ombre degli oggetti artificiali, ovvero delle immagini che scorrono sul muro della caverna (lo schermo cinematografico). Tra gli spettatori però, c’è qualcuno che arriva ad acquisire tali conoscenze che gli permettono di elevare se stesso al raggiungimento di una nuova verità filmica, ovvero la capacità di analizzare un’opera sotto aspetti tecnici e teorici, oltre che ovviamente emotivi: «Ammetti che capitasse loro un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce (…). Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso, nella sua regione che gli è propria». E ancora: «Parlando del sole, potrebbe già concludere che è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile, e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano. (…) E ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza che aveva colà e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice del mutamento e proverebbe pietà per loro?».

Truffaut in un suo famoso saggio del 1955, «I sette peccati capitali della critica», delinea un profilo abbastanza curioso a proposito della figura professionale che stiamo analizzando: «Si parla sempre di divi e di registi, dei gusti e disgusti degli uni, delle manie degli altri. Eppure, ai margini del cinema, esiste una professione ingrata, difficile e poco nota: quella di “critico cinematografico”». Dopo aver detto che il critico cinematografico «si culla nell’ignoranza totale della storia del cinema», che «ignora non solo la storia della sua arte, ma anche la tecnica», ritenendo che «si definisce solo per la sua totale assenza di immaginazione, altrimenti farebbe film invece di discuterli». Truffaut, che al tempo era ancora un critico dei «Cahiers du cinéma», continua ritenendo il critico cinematografico «insolente e saccente». Prima di concludere il suo scritto, egli definisce quella del critico una «curiosa professione», suggellando il saggio con una considerazione sarcastica: «In verità, vi dico: “Non date troppa importanza ai critici!”». Lo scrittore britannico nonché critico teatrale Kenneth Tynan, affermava invece che «il critico è un uomo che conosce la strada ma non sa guidare l’auto». Escobar e Cozzi riprendono da dove Truffaut aveva lasciato, difendendo però la figura del critico, ritenendo che «l’imbarazzante marginalità del critico (…) riguarda in primo luogo il suo essere e non essere addetto ai lavori, e insieme il suo essere e non essere spettatore. Insomma, il critico è una specie di apolide, uno sradicato che non ha piena cittadinanza né di qua né di là, né dietro la macchina da presa né in platea». Elia Kazan invece paragona la condizione del critico «a quella dell’eunuco nell’harem che passa il suo tempo a contemplare quel che gli è precluso e proibito».

Come abbiamo visto, anche attraverso la metafora del mito della caverna, il critico cinematografico non può rimanere soltanto uno spettatore, se vuole davvero svolgere questo mestiere: «Si tratta di un mestiere ben strano, d’un mestiere che nessuno insegna, come invece si insegnano (o forse si insegnavano) quelli del calzolaio, del barbiere, del fornaio, del giornalista. In un certo senso, e oltre ogni sarcasmo, ha ben ragione Truffaut: il critico è un artigiano» poiché, come sottolinea anche Bisoni: «Non esiste un curriculum di studi perfettamente definito, condiviso e accademicamente sedimentato per stabilire lo specifico professionale di un critico cinematografico. Quest’ultimo può venire indifferentemente da studi universitari genericamente umanistici, da saperi settoriali o essere un operatore culturale cresciuto a forti dosi di autodidattica: un critico “fai da te”». Morando Morandini afferma che «più che un sacerdote, ministro del culto audiovisivo, un critico di cinema dev’essere vescovo, episkopos, ossia colui che vede», secondo Paolo Mereghetti invece: «il critico non dovrebbe essere un giudice che condanna o assolve, ma piuttosto un maestro, un modesto maestro elementare che aiuta lo spettatore a capire meglio i film con la propria esperienza e conoscenza». Secondo Andrè Bazin il compito del critico è di prolungare il piacere estetico: «la funzione della critica non è offrire su un piatto d’argento una verità che non esiste, ma prolungare lo shock dell’opera d’arte il più a fondo possibile, nell’intelligenza e nella sensibilità di chi legge».

Da questo punto di vista, più i gusti dei lettori incontreranno quelli del critico, più i suoi giudizi saranno “presi per buoni” dal pubblico: così come un lettore rimane fondamentalmente fedele ad un particolare quotidiano o ad una particolare pubblicazione, così tende ad instaurare col tempo un rapporto di fiducia con un particolare critico. Questo può derivare da una convergenza di vedute per quanto riguarda il cinema in generale e l’opera di alcuni autori in particolare, così come da una stima nei confronti dello stile particolare del critico. Il lettore tenderà a fare più affidamento sulle opinioni espresse dal suo critico di fiducia rispetto a quelle degli altri critici, arrivando anche a fidarsi ciecamente dei giudizi “estremi” da lui espressi: un film ritenuto bellissimo lo si va a vedere a prescindere, mentre un film ritenuto bruttissimo lo si evita in ogni caso.

A questo punto è il caso di differenziare la figura del critico cinematografico nelle sue due correnti principali: il critico teorico, ovvero lo studioso di cinema, e il critico giornalistico, ovvero il recensore. Va specificato che «questa divisione è comunemente accettata da tutti i soggetti che occupano il campo, i quali si dispongono abbastanza naturalmente su uno dei due fronti, o negoziano posizioni intermedie tra essi».

In questo lavoro affronteremo in particolar modo la figura del critico-giornalista, il quale ha una funzione più divulgativa, di orientamento al consumo e che dalla sua nascita fino ai giorni nostri ha accompagnato e probabilmente guidato i gusti degli spettatori scrivendo ovunque: su riviste di cinema, quotidiani, settimanali e negli ultimi anni su riviste on-line. Dunque, che cos’è un critico, in fondo? Lasciamo la risposta a Morando Morandini: «Uno spettatore esigente che sa scrivere meglio e che ha più memoria della media dei suoi lettori. Se, per giunta, è anche più intelligente, tanto meglio».

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2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Giampaolo ha detto:

    Scrivendo nel motore di ricerca del tuo blog, Woody Allen, mi sono imbattuto in questo post che trovo assai interessante. Postato il 19 Agosto del 2009!!!!
    Bè in effetti è vero: il critico è un lavoro che non t’insegna nessuno ma che ha un’importanza di non poco conto ovvero quello di far arrivare ai giorni nostri e in futuro la conoscenza di alcuni film, di alcuni registi, di alcuni attori. Insomma se non esistesse la critica, la gente sarebbe ancora più ignorante!
    Detto questo, la differenza tra uno spettatore e un critico, è che lo spettatore esprime un opinione, il critico si sforza (o si dovrebbe sforzare) di dare un opinione più raffinata. E mi auguro che il critico dia un giudizio dopo che abbia visto tutto il film e non solo parzialmente……
    inoltre bisognerebbe dare uno sguardo a più film, a più generi e poi eventualmente specializzarsi in alcuni generi (cioè quelli che piacciono di più a quel critico) e non in tutti come fa qualcuno.
    Ah un’altra cosa: credo che per diventare un bravo critico bisogna parlare con l’artista in persona. Scrivere recensioni sempre “dall’esterno” non è il modo migliore di fare critica….
    Non voglio essere cattivo, ma il Morandini è un critico? Con lui non sono quasi mai d’accordo e come critico mi lascia perplesso.
    Buonanotte!

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  2. Lessio ha detto:

    la parte 8 di questo speciale sulla critica parla della critica online e dei blog.. penso che ti interesserà ancora di più 😉

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