Non lasciatevi ingannare dal titolo, forse l’unica nota stonata del film: il documentario di Cosimo Messeri è un viaggio appassionato nel ricordo e nel presente di una star musicale degli anni 60 caduta troppo presto nel dimenticatoio, Emitt Rhodes. Il suo timbro vocale, incredibilmente simile a quello di Paul McCartney, ha fomentato la leggenda metropolitana per cui gli album di Rhodes non erano altro che scarti dei Beatles, ma il documentario ha poco a che vedere con questa strana credenza. Messeri parte per Los Angeles alla ricerca di questo talento cristallino sparito dalle scene un attimo prima della consacrazione: l’uomo che incontrerà è un Emitt Rhodes ingrassato e disilluso, che ha nascosto il suo passato nel cassetto dove teneva i suoi sogni di musicista. La storia di un genio musicale svegliatosi troppo presto dal suo sogno americano, senza più nessuno al suo fianco, rimasto solo con la sua passione per la musica.
Eppure le premesse erano ottime: Rhodes esplode come leader dei Merry Go Round, formazione nata nel 1966, figlia stelle e strisce dell’onda pop-rock lanciata dai quattro ragazzi di Liverpool dall’altra parte dell’oceano. La sua tecnica e la splendida voce lo portano a firmare un contratto da solista, secondo il quale dovrà incidere sei album in tre anni. Ne realizzerà soltanto tre, tra il ‘70 e il ’73 (dove tra l’altro suona tutti gli strumenti presenti nelle canzoni), apprezzati dalla critica e dai fan, ma non avendo rispettato i termini previsti dal contratto si ritrova con una causa intentata dalla sua etichetta che lo priverà di 250mila dollari e di tutti i suoi diritti d’autore. Nel 1974, a 24 anni, Emitt Rhodes scompare misteriosamente, e sarà proprio il regista Cosimo Messeri a ritrovarlo, grazie all’elenco del telefono (!), accendendo in lui ricordi e rimpianti e forse regalandogli un nuovo stimolo per il futuro.
Un documentario toccante e ben realizzato, che trova il suo punto di forza nel grande contrasto tra il talento incontestabile di questo musicista e la sua condizione attuale, ridotto ad una vita d’artista scandita dal prozac e dai rimpianti. Lo stesso uomo che quarant’anni fa cantava «in life a day is worth a million soon you’ll find: live live live»: vivi, vivi, vivi.
pubblicato su Livecity