Rome Film Fest 2009: Il bilancio finale

Tre giorni dopo la conclusione della quarta edizione del Festival del Cinema di Roma i ricordi sono ancora caldi e ben saldi nella memoria di chi l’ha vissuto “day by day”. La nostra presenza all’Auditorium per circa 15 ore al giorno ci rende automaticamente tra i testimoni più autorevoli di ciò che è effettivamente stata questa edizione 2009 del Festival. Tra bizzarrie e stanchezza, risate e commozione, proteste e strette di mano, non sono mancate di certo molte cose che ricorderemo, così come non è mancato ciò che avremmo preferito non vedere…

Cominciamo da ciò che ci interessa maggiormente: il cinema. Perché in un festival cinematografico, quando si vanno a tirare le somme, alla fine ciò che resta davvero è la qualità delle pellicole e le emozioni che hanno suscitato. La selezione dei film in concorso è apparsa in linea di massima sufficiente, ma non eccezionale: ci siamo divertiti a dare i voti ad ogni pellicola in gara, e la media non arriva al 6,5 (per l’esattezza è 6,3), un po’ troppo poco per un Festival che quest’anno ha deciso di puntare più sulla qualità rispetto a nomi di grande richiamo (sempre a proposito dei film in concorso). La vittoria – meritata – di “Brotherhood” è apparsa fin troppo netta: nessun altra pellicola, per quanto bella o interessante, è sembrata in grado di poter minare la superiorità del film di Nicolo Donato. Un posto al sole lo riserviamo per “Dawson Isla 10”, un grande documento storico, più che un film (ma comunque bellissimo, con dei titoli di coda commoventi), il compagnone Jason Reitman di “Up in the air” (utopico pensare che il regista potesse bissare il successo di “Juno”) e la frenetica nottata raccontata da Alberto Rodriguez in “After”.
Benino i film italiani: “L’uomo che verrà” ha fatto incetta di premi, ha trovato il gradimento del pubblico grazie alla forza della sua storia (anche se è stato inevitabile paragonarlo al recente “Miracolo a Sant’Anna” di Spike Lee), ma non è un film che aggiunge molto al genere. “Alza la testa” gode dell’interpretazione rabbiosa di Sergio Castellitto, Marc’Aurelio come migliore attore, ma come film perde convinzione strada facendo, dopo una prima parte emozionante. Un po’ come “Viola di mare”, che non è sembrato capace di mantenere il livello di interesse alto per tutta la sua durata.
In purgatorio l’atteso “The Last Station” il quale, nonostante un grande cast (Helen Mirren, Christopher Plummer, James McAvoy, Paul Giamatti), ha raccolto più sbadigli che applausi. Non male Tanovic (“Triage”), addirittura potente in alcune sequenze, ma incapace di trovare la marcia giusta per raggiungere vette più alte.

Diverso il discorso per quanto riguarda il resto del programma, che ha trovato picchi di grandissimo cinema: applausi unanimi e scroscianti per il gioiello di Radu Mihaileanu, “Le Concert”, una meravigliosa commedia che ha regalato risate e commozione (merito anche di Tchaikovsky, che fa sempre il suo bell’effetto). Ottimo colpo anche per quanto riguarda l’anteprima mondiale di “Parnassus”, l’atteso film di Terry Gilliam, uscito in sala a Festival concluso, così come si è dimostrata innegabilmente eccelsa l’anteprima di “A Serious Man” dei fratelli Coen.
I film più sorprendenti, non c’erano dubbi, sono usciti fuori dalla sezione curata da Mario Sesti, L’Altro Cinema/Extra, ormai divenuta una vera garanzia di cinema originale e mai banale, uno dei punti fermi del Festival di Roma, una delle basi sulle quali continuare. Tra i tanti non si può non citare il geniale “Simon Konianski”, il visionario e meraviglioso “Bunny and the bull”, lo stravagante e divertentissimo “Bancs Publics”, il misterioso ed esotico “Jyurioku Pierrot”, senza dimenticare la potenza dei documentari (su tutti “Sons of Cuba”).

Mettiamo da parte i film, oltre allo straordinario carisma di Meryl Streep (l’apice della storia del Festival di Roma, passato e futuro, secondo qualcuno): la mostra dedicata a Sergio Leone e la bellezza e la gentilezza delle hostess sono altri punti a favore della riuscita di questo Festival, ma non sono state tutte rose e fiori. La distribuzione degli orari è stata come sempre disumana: anche quest’anno le proiezioni stampa dei film in concorso sono state collocate, nell’arco della stessa giornata, dalle 9 di mattina fino alle 22, obbligando i giornalisti a dormire, nei casi migliori, cinque ore di sonno a notte… Altro tasto dolente riguarda le file per entrare in sala, secondo i più gestite davvero in modo superficiale: dall’incontro con la divina Meryl alle proiezioni minori, sono nate leggende metropolitane su episodi surreali sui quali sarebbe meglio concentrarsi in modo più deciso per migliorare le prossime edizioni. Concedeteci un’ultima frecciatina: alzi la mano chi non ne può più di quei “giornalisti” che gonfiano le conferenze stampa di domande sulla vita privata degli attori, mettendo totalmente in secondo piano il motivo per cui tutti noi siamo al Festival: il cinema.

Eccetto queste note dolenti, compresa la camicia con la quale si è presentato Terry Gilliam, la quarta edizione del Festival si può definire tutto sommato piuttosto riuscita: film mediamente buoni (con picchi altissimi in particolare con i film delle altre sezioni), incontri di grande spessore (e forse è passata un po’ troppo inosservata la suggestiva presenza di Milos Forman, presidente della giuria) e una bella atmosfera nella quale lavorare. Sull’organizzazione, a tratti un po’ stentata, bisogna aggiustare qualcosa. Per tutto il resto comunque, il  pollice è alto.

pubblicato su Livecity


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Comments

4 risposte a “Rome Film Fest 2009: Il bilancio finale”

  1. Avatar Ale55andra

    Un pò grazie a te ho respirato questo festival che ho perso. Grazie!!

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  2. Avatar Lessio

    parlavamo spesso di te, ci sei mancata..!

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  3. Avatar Ale55andra

    Anche voi mi siete mancati!! E vabè il destino stavolta ci è stato avverso. Speriamo di piegarlo alla nostra volontà in futuro!!

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