Recensione “Moon” (2009)

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Il 20 luglio del 1969 il famoso passo di Neil Armstrong permise all’uomo di solcare per la prima volta il suolo lunare: negli States moltissime trasmissioni decisero di utilizzare come sigla dell’evento una canzone speciale, “Space Oddity”, uno dei singoli più celebri di David Bowie, pubblicato appena nove giorni prima dell’incontro tra l’uomo e la luna. 40 anni dopo, Duncan Jones realizza il suo primo lungometraggio, un film indipendente ambientato interamente sulla luna, una scelta quasi naturale se si considera che Duncan Jones è il figlio dello stesso David Bowie, colui che in certo senso realizzò la “colonna sonora” dell’allunaggio. Una passione per la fantascienza che dunque il regista aveva nel sangue, e che è riuscito a trasformare in fantascienza d’autore, come non se ne vedeva da tempo: “Moon” è infatti figlio dell’Odissea kubrickiana, raccoglie lontani echi del “Solaris” di Tarkovskij strizzando l’occhio al “Blade Runner” di Ridley Scott. In mezzo a questi grandi nomi un protagonista che sembra incarnare alla perfezione il senso di alienazione e isolamento di cui parlava il Major Tom di Bowie nella canzone di cui sopra.

Sam lavora in una stazione spaziale sita sul lato oscuro della luna per conto di una società che si occupa di raccogliere energia solare da riciclare sulla Terra. Il suo contratto dura 3 anni, e a pochi giorni dalla fine del suo lavoro l’unico pensiero è quello di riabbracciare sua moglie e la sua bambina, che lo stanno aspettando a casa. L’unica compagnia è rappresentata da Gerty, l’intelligenza artificiale della stazione (si potrebbe definire il lato buono di HAL 9000), almeno finché Sam non scopre la presenza di un altro Sam, un suo clone messo lì per rimpiazzarlo. I due cominceranno a farsi sempre più domande, fino ad ottenere delle risposte che non avrebbero mai pensato di trovare…

Sam Rockwell regala il suo estro e la sua versatilità ai due Sam del film, trovando forse la migliore interpretazione della sua carriera; la voce di Kevin Spacey (nella versione originale) dona umanità all’intelligenza artificiale Gerty. Un budget piccolo per un film grande, ambientato esclusivamente all’interno della stazione, salvo alcuni affascinanti esterni lunari dove non può mancare il classico e suggestivo sguardo al pianeta Terra, che aggrava il senso di isolamento e alienazione di cui tutta la pellicola è avvolta. Duncan Jones ci riporta a quella fantascienza d’autore di cui si sentiva sinceramente la mancanza, dove le domande esistenziali dell’uomo trovano – almeno nel caso del protagonista – una risposta sul lato oscuro della luna. …E come diceva il Major Tom di papà David Bowie: “Planet Earth is blue and there’s nothing I can do”.

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2 commenti Aggiungi il tuo

  1. utente anonimo ha detto:

    ho scritto le stesse cose… ma non ho ancora postato 🙂
    Penseranno che ho copiato da te…
    Do you hear me major tom?

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  2. Ale55andra ha detto:

    Bellissima sorpresa! Un film che mi ha colpito veramente moltissimo.

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