Martin Scorsese continua la sua indagine sulla violenza, cambiando totalmente registro: se gran parte della sua filmografia è sempre stata incentrata su una metaforica esplosione – dei personaggi, delle vicende e della violenza – stavolta l’isola del titolo è il luogo dove avviene il contrario, una vera e propria implosione che porterà il protagonista a scavare sempre di più all’interno di se stesso e del luogo che lo circonda, per avvicinarsi e finalmente capire la verità e la sua stessa natura. Il regista newyorkese lo fa omaggiando i grandi maestri dell’espressionismo tedesco (i riferimenti a Lang, Murnau e soprattutto Wiene sono dietro l’angolo), aiutato anche dalle tetre scenografie di Dante Ferretti, che contribuiscono a rendere l’isola un personaggio portante del film.
1954. Il capo della polizia locale Teddy Daniels viene mandato insieme ad un nuovo collega a Shutter Island, un manicomio criminale situato su un’isola-fortezza dalla quale è impossibile fuggire, per indagare sulla misteriosa fuga di una pluriomicida. I due poliziotti si ritrovano coinvolti in un’indagine che ben presto si rivela molto più grande di quel che pensavano: pazienti psicopatici e pericolosi, psichiatri gelosi e fieri della loro fortezza, sospetti e misteri dietro i quali si rivelano forse folli esperimenti medici, laboratori segreti e una pericolosa verità: Teddy Daniels capirà di non essere finito lì per caso.
Scorsese si diverte a giocare con il protagonista (un magnifico Leonardo Di Caprio), e quindi con lo spettatore, come fa il gatto con il topo: dissemina indizi, gli fa credere qualcosa per poi spiazzarlo immediatamente. L’isola – isolata e isolante – diventa così un corrispettivo fisico e spaziale di una situazione interiore, un luogo che riflette e amplifica le paure e i traumi del passato. Quello che ne esce fuori, tratto dal bestseller di Dennis Lehane (già autore di “Mystic River”), è un thriller psicologico di grande impatto visivo ed emotivo, ricco di colpi di scena e dal finale meraviglioso, racchiuso in una frase già memorabile: «Cosa sarebbe peggio? Vivere da mostro o morire da uomo perbene?».