Miglior film straniero al Sundance Festival dello scorso anno, applausi e consensi raccolti in rassegne di mezzo mondo. Ancora una volta non possiamo sorvolare di fronte al solito penoso titolo italiano, che cerca di fuorviare il pubblico dando l’impressione di trattarsi di una commedia, mentre in realtà il film racconta uno spaccato tipico della società cilena (ma per fortuna stavolta si è conservato almeno il buongusto di mantenere il titolo originale tra parentesi). Quella della nana è una figura tipica delle famiglie benestanti cilene: una donna di servizio che vive, cresce e dorme con la famiglia, fino a sentirsi totalmente parte di essa, di generazione in generazione.
Da oltre vent’anni Raquel è al servizio della famiglia Valdés: la donna è sempre stata al fianco dei tre ragazzi, che ha visto crescere, ed è ormai un punto di riferimento per tutti. Il suo non è semplicemente un lavoro, i Valdés in un certo senso sono diventati la sua famiglia, e per questo ne è gelosa, quasi possessiva: l’idea di essere affiancata da una seconda donna di servizio non va a genio a Raquel, che riesce a mettere in fuga ogni candidata al ruolo con dispetti e ciniche congetture. L’arrivo di Lucy però la spiazza: la nuova ragazza, solare e brillante, reagisce ad ogni dispetto con il sorriso, diventando la beniamina della famiglia. Per Raquel si tratta di una nuova minaccia, ma le cose non sono mai come sembrano.
Il regista cileno Sebastian Silva, al suo secondo film, prende spunto dai suoi ricordi di famiglia (addirittura l’intera pellicola è girata all’interno della sua casa) per raccontare una delle tante storie del suo Cile, pennellando l’opera con spruzzi di ironia e la geniale intuizione di presentarci una protagonista antipatica e scorbutica, che però impariamo a capire e a conoscere sempre più con il passare dei minuti. E se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, la nana inevitabilmente nobilita la famiglia.
pubblicato su SupergaCinema
Dunque io nobilito la famiglia, ahah! Vabè, a parte stronzate, questo lo voglio proprio vedere.
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