Anche questo è cinema: Louis Nero tenta la via della sperimentazione, giocando a fare un po’ il Kubrick di “Barry Lyndon”, vagamente il Godard di “Passion”, con la docu-fiction che tenta la via dell’innovazione perdendosi lungo la strada. Da un punto di vista prettamente cinematografico il film sarebbe da dimenticare, scritto piuttosto male e interpretato peggio, ma è da un punto di vista artistico che si riesce a trovare qualcosa di positivo: split screen, sovrapposizioni di immagini e punti di vista, fotografia assolutamente interessante, “attiva”, funzionale alle scene. È questa cura per i dettagli tecnici che salva Nero dalla bocciatura totale.
I fatti raccontano l’ultimo giorno di vita di uno dei personaggi più misteriosi del secolo scorso, il mistico Rasputin, consigliere della famiglia imperiale dei Romanov, ucciso in seguito ad un complotto organizzato da alcuni nobili. Noto per le sue capacità curative, che gli permisero di avvicinare la dinastia imperiale grazie alla guarigione miracolosa del piccolo erede al trono, Rasputin diventò un personaggio quasi mitico anche per il modo in cui fu ucciso, raccontato lungo gli 85 minuti del film. Una storia di intrighi politici e complotti, un romanzo realmente accaduto, attraverso il punto di vista di coloro che vissero questa pagina di leggenda.
Louis Nero ha lavorato sulle scene come fossero dei quadri in movimento, curando egli stesso la fotografia e il montaggio, e siccome ci lamentiamo spesso di vedere sempre gli stessi film italiani, almeno possiamo apprezzare lo sforzo. Il punto è che non basta una messa in scena elaborata per fare un film di buon livello: i dialoghi sembrano uscire da una recita di teatranti amatoriali, e verso metà film si cominciano a desiderare i titoli di coda. La noia contrasta amaramente con la bellezza di alcune immagini, ma coraggio, Nero ha voglia di rischiare e questo non può che essere un qualcosa di cui andare fieri.
pubblicato su SupergaCinema