L’opera prima di Kazuya Ogawa è una commedia dai colori sgargianti e i toni allegri, che spicca per originalità, strizzando spesso l’occhio a “Ladri di biciclette”, anche se in questo caso l’oggetto del furto non è una bicicletta necessaria per lavorare (e quindi vivere), ma una sportiva Subaru Legacy nera metallizzata, una sorta di status symbol in Palestina, dove è ambientata la storia. Il giovane regista giapponese ha dunque portato sullo schermo il soggetto scritto in collaborazione con Akram Telawe, arabo israeliano, in un curioso miscuglio etnico che ha dato vita ad un film mai banale, che si esalta nel raccontare la quotidianità di un microcosmo in cui tutti si arrabattano nel tentativo di aiutarsi, in un concetto di comunità dove anche le carogne sembrano avere un cuore.
Elzober ha lavorato tutta la vita per coronare il suo sogno: acquistare una Subaru. Il grande giorno finalmente arriva e tutti i suoi amici della città di Tayibe sono in festa per salutare il grande evento. L’indomani però la macchina sparisce nel nulla, rubata da uno dei tanti ladri d’auto della zona, dove ormai si è creato un business intorno ai furti d’automobile. Elzober si lancerà in una disperata ricerca, accompagnato dai suoi amici più fedeli (tra cui sua sorella e il promesso sposo di lei, che non possono sposarsi finché l’auto non verrà ritrovata): il protagonista viene così pedinato nel suo viaggio attraverso sfasciacarrozze, ladri, banchetti, maghe, meccanici e sushi bar in un grande caleidoscopio di personaggi e desideri.
“Pink Subaru” è frutto di una coproduzione italiana e giapponese, ambientato in Israele e Palestina, e già questi strani incroci destano curiosità per la pellicola di un regista esordiente, giapponese ma residente in Italia. Originale non solo nel soggetto ma anche nei contenuti: ambientare un film in Israele e Palestina ed evitare volutamente qualunque accenno alla guerra è una scelta intelligente, sarebbe stato facile strumentalizzare la questione e piegare le logiche del film sotto un punto di vista politico. In realtà il centro della pellicola di Ogawa sono gli esseri umani, senza confini né differenze, ognuno uguale all’altro nella ricerca e la speranza di ciò che in fondo è l’obiettivo ultimo di ciascuno di noi: la felicità.
pubblicato su Livecity