Recensione “Bobby Fischer against the world” (2010)

Un documentario che sembra uscire dalla penna di un romanziere: l’incredibile storia di un talento (in parte) sprecato, quello di Bobby Fischer, probabilmente il più grande scacchista di sempre, diventato campione del mondo a 29 anni e poi scomparso dalle scene per (auto)imprigionarsi in un vortice di paranoia e solitudine. Una storia coinvolgente su un genio che ha dedicato la sua vita ad una passione, toccando il cielo con un dito prima di sparire nel nulla: “è come se di Picasso conoscessimo solo pochi quadri”, racconta nel film chi lo ha conosciuto da vicino. Una storia di nevrosi e paranoie prodotta dalla HBO, impostata dalla regista Liz Garbus come una partita a scacchi tra il protagonista e lo spettatore: l’infanzia e l’esplosione del suo talento (a 15 anni è già campione degli Stati Uniti), il suo astio verso i russi (definiti “imbroglioni” da Fischer), e una serie di successi fino al climax del film, e della sua vita: il campionato del mondo del 1972, il cosiddetto “incontro del secolo” con il campione in carica Boris Spasskij.

Lo storico incontro di Reykjavik appassiona gli Stati Uniti, Fischer fino all’ultimo sembra intenzionato a non presentarsi, ed una serie di richieste assurde mettono a rischio l’incontro. Alla fine però il nuovo idolo statunitense partecipa al torneo, dando vita ad un match appassionante con Spasskij, lentamente abbattuto dalle intuizioni del rivale, primo ed unico statunitense a vincere il titolo di campione del mondo. Praticamente qui finisce la storia di Fischer scacchista, e comincia la vita di Fischer il disperso, l’asociale, l’antisemita.

La storia di un uomo solo imprigionato all’interno del suo stesso talento, un’ossessione che gli porterà via l’infanzia, l’adolescenza e infine la vita (”Un giorno ho provato a scrivere il testo per una canzone ma non usciva nulla, avevo il vuoto dentro: è perchè non ho vissuto abbastanza”). I suoi giorni finiscono nel 2008, in quella Reykjavik che tanti anni prima gli aveva regalato la gioia del titolo di campione del mondo, e che ora gli aveva concesso la cittadinanza: Bobby Fischer muore a 64 anni, proprio come il numero delle caselle degli scacchi, e fanno riflettere le sue ultime, lucidissime, parole; la testimonianza di un uomo che ha trascorso la sua esistenza da solo, accompagnato soltanto dalla sua passione: “Niente è più curativo del calore umano”.
Sprazzi di “A beautiful mind” sulla splendida scacchiera di Extra.

pubblicato su Livecity

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