Recensione “La collina dei papaveri” (“From up on Poppy Hill”, 2011)

Scritto dal premio Oscar Hayao Miyazaki e diretto dal figlio Goro, alla seconda regia dopo “I racconti di Terramare”, il film prodotto dalla fabbrica dei sogni dello Studio Ghibli fa venire voglia di tornare giovani e innamorarsi. Un soffio di dolcezza che spira sul Giappone degli anni 60, in una Yokohama in cui il periodo storico (il boom economico in seguito alla Seconda Guerra Mondiale e i preparativi per le Olimpiadi di Tokyo) si muove sullo sfondo con una personalità propria, influenzando il racconto e i caratteri dei suoi splendidi personaggi, che tentano con tutte le forze di salvaguardare il loro passato difendendo il presente, e sognando il futuro. In questo incantevole ritratto di una cittadina di mare ritroviamo i soliti colori, il solito calore, oltre al suono tiepido di un’allegra confusione umana, impronta stilistica di ogni miracolo di Miyazaki senior.

La giovane Umi vive un periodo di grande fermento dovuto alla disputa per la demolizione o la salvaguardia di un edificio della scuola, fulcro essenziale delle attività extrascolastiche dei suoi compagni, come il giornalino, il circolo di filosofia, di chimica, di astronomia e quant’altro. Con uno di essi, l’intraprendente Shun, nasce una tenera amicizia, finché i due non vengono a conoscenza di un segreto che riemerge improvvisamente dal loro passato, cambiando totalmente ed inevitabilmente il loro rapporto. Ma se il passato è là, perentorio, immutabile, il presente invece può raccontare mille nuove storie, riservando sorprese capaci di riscrivere anche il passato stesso, restituendo la verità ai protagonisti.

Ogni volta che si vede un film di Miyazaki (che sia Hayao o Goro) si esce dalla sala con la splendida sensazione di sentirsi delle persone migliori, e con una terribile voglia di guardarsi intorno in cerca di emozioni, amore e calore umano. Il miracolo dello Studio Ghibli si rinnova di film in film, restituendo al cinema quella funzione di macchina dei sogni che gli è stata assegnata sin dalla nascita, e che al giorno d’oggi si fa quasi fatica a ritrovare, nascosta in quel marasma di blockbuster senza anima e macchine produttive che riempiono le sale di questi anni 2000. Ma finché ci sarà un Miyazaki, esisterà il piacere di vivere un film e di emozionarsi davanti a delle immagini disegnate: lunga vita alla famiglia Miyazaki.

pubblicato su Livecity

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Un commento Aggiungi il tuo

  1. Babol81 ha detto:

    Che meraviglia.
    Ho visto da poco Arrietty, non vedo l'ora che esca dalle nostre parti anche questo.
    E concordo con te: dopo un Miyazaki si cerca sempre il calore e il sentimento della vita!

    "Mi piace"

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