Recensione “La Parte degli Angeli” (2012)

La cosiddetta “parte degli angeli” è quel 2% di alcool contenuto in una botte di whiskey che ogni anno evapora, perdendosi per sempre. Da quest’idea Ken Loach trova lo spunto per una nuova pellicola, in cui il regista britannico continua ad onorare la causa di irresistibili perdenti in cerca di riscatto. In questo film c’è l’impronta dello stile di Loach in ogni sfumatura: ironico con punte di dramma, drammatico con punte di ironia (sulla falsariga del meraviglioso Looking for Eric del 2009).

Robbie è un ragazzo di Glasgow dalla fedina penale imbarazzante e dalla rissa facile. Ora però sta per diventare padre e tutto ciò che cerca è mettere la testa a posto, soprattutto evitare la galera, che gli impedirebbe di crescere suo figlio. Dopo l’ultimo scontro il giudice concede ancora una possibilità al ragazzo, condannandolo a svolgere 300 ore di lavori socialmente utili. In questo contesto Robbie incontra Rhino, Albert e Mo, anche loro condannati allo stesso lavoro, ma soprattutto Harry, il loro mentore: grazie a lui i quattro ragazzi si avvicinano al mondo del whiskey, alle degustazioni e Robbie scopre di avere un palato finissimo. Da qui nasce l’idea che potrebbe cambiare per sempre le loro vite, e soprattutto potrebbe permettere a Robbie di fuggire con la sua famiglia lontano dalle beghe con i suoi nemici e con chi lo considera un fallito.

Ken Loach, figlio di operai e da sempre vicino alla causa della working class, regala un altro gioiello alla sua già preziosa filmografia puntellata di uomini in difficoltà ma dal cuore grande, che in questo film trova in Robbie e i suoi amici dei nuovi volti che soltanto il cinema di Loach è capace di regalare. Volti di ragazzi che portano negli occhi i segni di una vita vissuta a fatica, volti di uomini che in mezzo al dramma della loro condizione continuano a sorridere, a regalare agli spettatori la loro parte di emozione. E agli angeli la loro parte di alcool. Bellissimo.

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